Monday, August 18, 2003
Spesso il tempo mi si ferma e m’accorgo che sto impalata a osservare la gente. rimango la' a bearmi di queste visioni. m’incanto di fronte a orde di famiglie e famigliole che conducono quella che io reputo una vita “finto-felice” e che loro reputano più semplicemente una vita felice. mi colpisce la loro tranquillità. la loro serenità. il loro accontentarsi sempre e comunque senza psicologismi, senza impedimenti, senza neanche i senza. mi rapisce quella che io reputo rassegnazione e che loro reputano la loro vita. i loro sono gesti piccoli piccoli. i loro sono ritmi tranquilli anche quando corrono. loro li vedi in fila per andare al mare tutti in coda senza che si scompongano nemmeno un po’. felici nelle loro macchine tirate a lustro chè d’agosto hanno anche il tempo e la voglia di andare al FAI DA TE del lavaggio. quando arrivano a destinazione non si lamentano che non c’è posto e se lo fanno, lo fanno senza filosofeggiarci e tirarci su trattati sul clima che non è più lo stesso e con tutto cio' nessuno rinuncia più a niente nemmeno all’automobile. loro parcheggiano anche anni luce distanti dalla meta. scaricano chili di bagagli dal portabagagli: sacche, teli, ombrellone, secchielli, tavoli, sediole, materassini (quelli in regalo con OGGI), portavivande con l’acqua sempre fresca, ciambelle, la nonna e pure i pupi senza un benché minimo lamento. e se pure ti capita di sentire un urlo è un urlo fine a se stesso. un urlo che lascia il tempo che trova perché dopo ci si ritrova amici e parenti come prima senza musi lunghi quanto anni. e io mi incanto di fronte a tanta abnegazione di queste famiglie e famigliole, che io reputo fintofelici, che smuovono montagne anche se per un sol giorno. anche in spiaggia hanno i loro riti: merende alla data ora, pranzo all’una che tutta la spiaggia è un continuo brusio di carte, cartuccelle e lattine che sbuffano, pisolino pomeridiano, passeggiatina, bagnetto dopo due ore che senno' la digestione chissà, merendina a suon di gelato o cocco. e poi le urla. i giochi. le radioline o i telefonini che squillano. e la fine della gita. e lo smontaggio di questo teatro in movimento. l’ombrellone che viene richiuso. i bambini che vanno asciugati, “sgrullati” dalla sabbia, vestiti. la nonna che va svegliata. il marito che è già in macchina che altrimenti c’è fila per il rientro. e la moglie che lo segue a ruota con nonna e bimbi al carico. piccoli passi che scandiscono la loro vita fatta a piccoli passi: il matrimonio, l’automobile, il primo figlio, il mutuo sulla casa, il computer, il dvd con l’impianto come al cinema, la seconda auto, le lezioni di salsa e merengue, il secondo figlio, il motorino e cosi' via la costruzione di una vita intera. bè. tutto questo m’affascina e mi rattrista allo stesso tempo. mi perdo nel guardarli. cosi' semplici in una vita, la loro, che sembra tanto scorrevole e senza intoppi. ma so anche che non resisterei mezzo minuto d’orologio. ma non posso fare a meno di guardare tutto questo. forse sarà la loro pace o la loro serenità che io non raggiungero' mai. o sarà quel senso di smarrimento che non mi fa star bene in nessun luogo. Spesso il tempo mi si ferma e m’accorgo che sto là impalata a sognare: un marito, dei figli, il matrimonio e la casa col mutuo, il dvd e la casa al mare, l’accontentarsi di una vita vivendola e non il viverla senza accontentarsi mai. ma poi mi sveglio con l’affanno e col cuore in gola e so che non avro' mai questa pace. forse nella prossima vita. o forse mai. mi piego al mio destino che poi non è neanche male. e rimango da sola a guardare come uno spettatore quella vita normale che, oggi lo so, mai m’apparterrà.
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