Wednesday, September 29, 2004

Un ponte per...la follia.

Ho deciso che mi prenderò un anno sabbatico. Ne ho bisogno. Mi farò un bel giretto in iraq con la mia amichetta del cuore. Voglio giocare alla pace nel mondo chè la sera risiko m'ha un po' stancato. Se sarò fortunata verrò rapita e il mondo al completo si mobiliterà per me, si faranno fiaccolate nelle città più importanti (compresa Pomona) e i politici si occuperanno della mia storia e anche mauriziocostanzosciò e mariadefilippi mi dedicheranno puntate su puntate dei loro programmi. Tutti penseranno che sarò morta o che starò dentro un tugurio col cappio al collo o in una gabbia con le catene ma io in realtà starò bene come un papa. I miei carcerieri saranno gentili, ne sono sicura, e si preoccuperanno di ciò che voglio mangiare e se vado al bagno chè con 'sti cibi arabi divento sempre stitica. I miei rapitori non saranno i soliti carcerieri, di quelli che mettono il catenaccio alla porta e ti tengono al buio e ti staccano pure mezzo orecchio o al brutto ti sgozzano; no, saranno delle persone fantastiche, mi prepareranno il panierino per il viaggio di ritorno e mi chiederanno anche perdono: che bello! Credo che questa vacanza mi farà veramente bene. Se sarò fortunata ingrasserò pure un chiletto che con tutto 'sto lavoro di volontariato che faccio dicono tutti che sono sciupata. Anche il presidente della repubblica parlerà di me la sera a cena con franca e il papa pregherà per me nelle laudi mattutine. Insomma andare in iraq, signori miei, lo consiglio a tutti. È meglio che andare a sharm el shaik chè l'ultima volta la cammellata notturna nel deserto non m'è piaciuta più di tanto. Quando tornerò ringrazierò questo popolo fantastico che è il popolo iracheno. Dice che laggiù qualcuno è morto. Mah? Sarà...starei attenta però a tutti questi allarmismi. Saranno le solite voci di corridoio!

Sunday, September 19, 2004

Touch Down!

Un proverbio indiano dice che per conoscere una persona devi camminare nei suoi mocassini, mio padre aggiungeva che per giudicare una persona devi vederla mangiare a tavola. Io nel mio piccolo dico che devi anche vederne il comportamento al bar. Io e lei. Ci guardiamo da lontano come in quei duelli al sole, quelli che vedi nei film dove sparano tutto il tempo e vanno a cavallo. Cercando di non perderla, io dribblo due vecchie incartapecorite con la borsetta stretta in mano e lei inciampa in un guinzaglio di un cane abbandonato. Continuiamo a fissarci e intanto il bar s'avvicina. Con uno scatto da centista scarto due che fumano e che parlottano e infilo l'entrata del bar. Sono prima e lei seconda. Mi guadagno la cassa avanzando tra i tavolini stracolmi di gente che fa colazione. Ordino il caffè. Ma prendere un caffè al bar nelle ore di punta è più arduo che fare il record di aderenza migliorata battendo maiorca e jacquesmaiòl insieme. Il bancone di solito è occupato da frotte di gente che, incoscienti di quello che avviene alle loro spalle, continuano a chiacchierare del più e della roma finchè non han bevuto l'ultima goccia di cappuccino, spazzolato l'ultima briciola di cornetto e dato anche una sbirciatina nel piattino delle mance per vederne l'entità. Io mi incavolo al bar. Sempre. Primo perché sono una persona educata e invece vorrei essere un'ignorante di periferia di quelli che ti fucilano con un sguardo, che sbraitano, urlano, sgomitano e stanno sempre e comunque davanti. Secondo perché ho una voce esile esile e di solito il barista non mi sente anche perché sto ancora parcheggiata in quinta fila dietro a quelle vecchine sorde dai capelli azzurrini che mi spiegassero che ci fanno al bar alle otto e mezza, ai garagisti con la tuta da meccanico e le mani unte di grasso e dietro pure quelle quattro finte lavoratrici ministeriali che al bar ci pernottano pure e ci arrotondano la vita e il punto vita. C'è chi mi spintona di qua e chi di lá. E io non vedo altro che fauci spalancate e occhi goduriosi che gustano finte prelibatezze ignorando gli altri e ció che ne consegue. In quel momento li odio. Li odio tutti. E gli auguro che quelle leccornie gli vadano di traverso e che il cappuccino gli faccia salire cosí tanto i trigliceridi da rovinare loro e le loro prossime generazioni. Riflettendo sulla figura dei dietologi e sulla loro inutilitá in certi frangenti, noto che il barista mi ha degnato di uno sguardo. Urlo. Urlo anche se odio urlare e mi sento violentata in quel momento. Ma il barista notoriamente sordo e distratto non capisce. La gente incurante continua a spalancare fauci. A inghiottire cibo che sembra non mangi da un'eternitá. Guadagno metri come nel football americano. Tra gomitate riesco persino ad arrivare al bancone. Touch down! S'è fatta quasi la mezza. Che dici, ordino anche un panino?

Wednesday, September 15, 2004

Che ci faccio qui, disse quel tale.

Ho ricevuto delle e mail che mi dicono che scrivo poco. Clara insiste perché scriva qui sul blog. Anzi in questi giorni mi sta corteggiando alla grande con panini e cocacole perché io la nomini: ha infatti annunciato a "popolo e comune" di amatrice che c'è un blog aperto solo per lei con tutte le sue battute che poi in realtà son le mie.
Ma io sto in crisi. In crisi di parole. In crisi con me stessa e con il lavoro che faccio. In crisi con quello che sono. Sforzati, dicono. Come se si trattasse di mangiare dopo una grande inappetenza, come se si trattasse di salire su una scala pur soffrendo di vertigini, come se si trattasse di uscire a piedi con il temporale, i tuoni e i lampi. Non ho parole. E quelle che ho o che ho avuto mi sembrano inutili. Stupide. Vuote. Sterili. Non ho battute da fare. Non ho racconti finti o veri che siano. Non ho niente dentro e questo è quello che risuona e che rimbomba come un boato: non sentire niente. Non sentire niente per nessuno. Non sentire caldo, freddo, fame o sonno, gioia o dolore. Non avere sensazioni. Non avere speranze. Accettare la vita, così come viene. Non riconoscersi in nessun posto e non riconoscere nessun posto. Chi mi vede in foto, mi dice che sembro un'indiana. Se vado in tunisia mi chiamano araba. E se vado in sardegna mi scambiano per una sarda. Dicono che ho certi gesti di mio padre. Ma il carattere di mia madre. L'intelligenza di mia nonna. La mentalità manageriale di mio nonno. I difetti di mio zio. E la scaltrezza di chi non so bene. Mi guardo allo specchio e vedo tutti. Tutti dentro. Ma non vedo chi sono. Che voglio. Non vedo niente che un agglomerato di gente che mi affolla l'anima e mi tira da una parte e dall'altra. Chi sono io? Sono preda degli umori senza trovare una stabilità. Sono preda delle paure anche le più stupide. Delle angosce. Delle gelosie. Devo migliorarmi e vorrei migliorarmi ma più mi sforzo e più affondo nel baratro dell'essere comune. Uguale a tutti pur essendo diversa. Poi capita che mi stufo anche a leggermi così. E la finisco qui. Clara sarà delusa. I cittadini di amatrice pure. Se ne faranno una ragione. Come per tutto e per tutti.

Tuesday, September 07, 2004

Il giubbotto.

E chi ci avrebbe mai creduto. Ho imparato tardi a guidare la moto e tra l'altro non sono neanche 'sto grande pilota. Quando mi voglio prendere in giro dico che faccio le curve sul cavalletto. Mi piacciono le due ruote ma a dovuta distanza: sará colpa della luna in vergine che da buona pigra ama le comoditá e la sicurezza. Sto trattando in questi giorni sul prezzo di un giubbotto di pelle usato. Nuovo no, a causa delle finanze post vacanziere. Ne ho provato uno, l'altro giorno. La ragazza, gentile e molto fiduciosa, mi ha detto di indossarlo con la moto per vedere se aderiva bene. Lei chissá di quali prodezze ha pensato fossi capace. Ho indossato il giubbotto nero rosso e bianco con protezioni da vero bikers e ho acceso la moto che, ringalluzzita da tale magnificenza e probabilmente non riconoscendomi cosí bardata, s'è impennata tutta. Impaurita ma con molta dignitá ho girato di corsa la chiave per spegnerla. Mio dio! come si permette, ho detto tra me e me. Andare su una ruota, io che ho paura anche delle due ruote. Ho riprovato ad accendere con molta circospezione e tenendo il piede sul freno e la mano sulla frizione. S'è accesa senza impennate; ho provato ad ingranare la prima e a dare un gas leggero come se l'episodio di prima non m'avesse neanche toccato. Ho fatto un bel sorriso alla ragazza del giubbotto che mi guardava tutta speranzosa di vedere chissà cosa. Un rombo enorme e sinistro è uscito dal motore. Uno stridío di gomme e una partenza che allo starter del gran premio di occhenaim avrei lasciato dietro rossi, biaggi e anche maicol felps. Per fortuna che all'incrocio con la piazza non passava nessuno. Subito il motore è salito su di giri. Ho girato a destra verso il Palladium e ho toccato col ginocchio per terra tanto che mi son giocata i pantaloni buoni della prima comunione. In pochi secondi ero a cento, centodieci, centoventi, centotrenta sulla salita vicino l'ospedale. Ho pensato: vabbé, perlomeno il pronto soccorso è vicino. Poi ho chiuso gli occhi come se la cosa non mi riguardasse piú. Altra curva in discesa stavolta, altro ginocchio buono partito. La moto continuava ad andare come posseduta. Al primo giro della garbatella ho battuto tutti sul tempo e ho visto clara al bar sventolare qualcosa di simile a un paio di mutande a puá da uomo. Al secondo giro, ho preceduto una cinquecento rossa truccata e una bmw della polizia che inseguiva due extracomunitari neri su una vespa argentata. Al terzo giro si è formato un capannello di gente con le classiche trombette da stadio e con striscioni e cartelli che data la velocitá e la miopia non sono riuscita a leggere. Poi, all'angolo tra la piazza e il parrucchiere di roberta è finita la benzina. Appiedata e un po' sconvolta ho riportato la moto al suo posto. Mi sono tolta di corsa il giubbotto di pelle nero rosso e bianco con protezioni da vero bikers e l'ho restituito alla ragazza mettendole come scusa che con la velocitá si gonfia troppo. Credo che per quest'inverno potrei ritirar fuori dall'armadio quel vecchio spolverino grigio finto militare. Mi va un po' corto di braccia, ma almeno non m'ha mai fatto brutti scherzi!

Moglie e buoi dei paesi tuoi.

Gente strana quella che va in vacanza. O forse sono solo strana io. Siamo partiti in sei, quest'anno. Ho pensato che un po' di sano svago e di riposo mi avrebbero fatto bene. La casa era piuttosto isolata e fuori il paese, senza schiamazzi e molto tranquilla. Siamo arrivati tutti stanchi, quasi distrutti dal viaggio in moto quindi non ho badato al fatto che per la prima sera andassimo a letto quasi al tramonto. Ho dato la colpa alla stanchezza, mica ad altro. La prima mattina ho aperto gli occhi svegliata da un gran botto. S'era chiusa la porta del bagno vicino la mia camera. Ho guardato l'ora: le otto meno dieci. Credo di aver imprecato. Si, ho imprecato e di brutto. Prima ho pensato che qualcuno fosse andato semplicemente in bagno. Ma poi un odore di caffè m'ha invaso di colpo le narici e come il cane di Pavlov ho spalancato gli occhi cercando di capire chi maledetto s'aggirasse per la casa a quell'ora indecente. Esco dalla stanza e trovo la sorpresa. Erano tutti in piedi indaffarati e giá pronti in costume. Ero contenta di essere in vacanza, cosí la situazione non mi è pesata piú di tanto. O forse avevo solo la luna buona quella che calma anche le belve piú feroci. Parlavano tutti e tutti insieme: parlavano delle spiagge da visitare, del giro in barca da fare, parlavano di cibo per il pranzo, parlavano addirittura dei programmi per il giorno dopo e della cena per la sera e della spesa e del porceddu che va assolutamente assaggiato e della seadas che è buonissima col mirto. Ho fatto finta di niente, ho pensato che fossero solo entusiasti per quel viaggio cosí avventuroso. Il secondo giorno stessa storia. Rumore dello sciacquone alle sette e un quarto stavolta. Esco dalla stanza e c'era già chi preparava panini con avanzi di spezzatino della sera prima e l'insalata. Ho pensato alla pazzia criminale. Non la mia, naturalmente. Ho dato la colpa ai bioritmi e dentro di me ho scusato tutti dicendo che forse per ambientarsi ci vogliono un po' di giorni. Il quarto giorno erano le sei e mezza e c'era giá gente in piedi. Avevano preso i cornetti, che cari! Non li ho mangiati, ovviamente, visto che col primo rutto di caffè di solito mi vien su la cena della sera prima e se sono sfortunata anche il pranzo di due giorni prima. Il quinto giorno, un silenzio strano. Esco dalla stanza e rimango lí allibita e intontita con i miei calzoncini rossi da giocatore di basket e la maglietta bucata UsaforAfrica. Erano giá tutti pronti per la gita in barca, chi con le pinne, chi con la maschera per i fondali marini, chi con i braccioli e la ciambella perché non sa nuotare, chi con l'olio solare al cocco che di prima mattina non lo auguro neanche a bin laden. Ho pensato alla follia quella vera, non la mia neanche stavolta. Ho pensato che cerchiamo la pace tutto l'anno e poi facciamo di tutto per non trovarla. Ho pensato che sto invecchiando e che l'anno prossimo mi chiuderó su una montagna a fare il "romito" come dice Eduardo. Gente strana quella che va in vacanza. L'ultimo giorno ho messo la sveglia alle tre e cinque. Per non lasciare roba in frigo ho fatto una specie di frittata con tutto quello che c'era: otto uova vecchie, una cipolla tutta ingiallita che non odorava neanche più, tre funghi sciampignón, due ravanelli, tre olive con noccíolo e anche cinque wurstell di pollo. Ho pulito tutta casa e ho preparato le valigie di tutti. Per accontentare il mio marte in scorpione in cerca di vendetta immediata li ho svegliati alle quattro e tre quarti e siamo arrivati alla nave sette ore prima, che ancora albeggiava. Non vedevo l'ora di tornarmene a casa. Per riposarmi, ovviamente.