Tuesday, December 28, 2004

Me lo dice sempre mamma che una donna deve fumare.

vivere da soli comporta aspetti positivi e altri negativi come tutto nella vita. ora, non mi sogno neanche un po' di elencare né gli uni né gli altri giacchè siamo appena usciti dal santo natale e abbiamo ancora i cuori inteneriti e ricchi d'amore per la nascita del bambinello dentro la capanna gelida ma soprattutto per le cospicue vincite al mercante in fiera e alla tombola del centro anziani di via Pullino. volevo solo raccontare quello che m'è successo qualche sera fa. era la prima sera di solitudine. arrivo tutta infreddolita a casa chè con la moto d'inverno rischi tutti i giorni il colpo apoplettico e neanche puoi fargli causa con l'assicurazione. ho aperto il frigo per riscaldarmi e l'ho richiuso subito visto che quello ha cominciato tutta una tiritera sulla storia della sua vita e io non avevo proprio la fantasia di starlo a sentire. ho fatto la vaga e mi sono occupata di cercarmi del cibo come fanno le leonesse nella savana che girano in cerca di prede per i cuccioli. ho rovistato tra gli scatoloni e ho ritrovato una busta di riso e spinaci liofilizzati residuato di non so che trasloco, forse di quello risalente al 1998 quando mi regalarono un pacco di natale con lo zampone di piede di porco, i datteri e una bottiglia di vov. con una gioia infinita neanche avessi trovato il tesoro del santo graal, ho letto le istruzioni per cuocermi la sbobba: un pentolino d'acqua, il contenuto della busta, una goccia d'olio e una cucchiaiata di parmigiano. dopo un rapido check per appurare se fossi in possesso di tutte queste cose, ho preso il pentolino come nella foto sulla busta, ci ho messo l'acqua e ho versato il contenuto nell'acqua fredda. sono andata per accendere il gas e, prima aspetto negativo della vita da singol, m'accorgo che non posseggo un accendino nè un accendi gas e neanche un fiammifero per darmi fuoco. sento nel frattempo il frigo sghignazzare e il lavello che cerca di calmarmi facendomi vedere il lato positivo: cioè che non tutto il male viene per nuocere o per cuocere, non ricordo. mandandolo a quel paese (il famoso paese dei lavelli) per questa immensa banalità, mi viene il lampo di genio di andare dalla vicina. ho guardato l'ora per paura di disturbare. ho aperto la porta di casa e m'hanno assalito già sul pianerottolo le urla di gerry scotti provenienti dalla casa della vicina. suono con un certo imbarazzo. nessuna risposta. sento intanto che dalla mia cucina il riso e gli spinaci liofilizzati chiamano il mio stomaco a gran voce e, con un po' più di convinzione e sfacciataggine, scampanello più a lungo. ancora nessuna risposta. penso: la vicina è sorda. o è morta. o è nascosta dietro lo spioncino e non apre agli sconosciuti. o forse non c'è. continuo a scampanellare finchè, impietosito, gerry scotti urla alla mia vicina di andare ad aprire. avverto dei passi cadenzati dalla musica e dai balletti delle letterine e dei giudici. Chi è? mi urla la vicina. con una voce flebile, le dico che ho bisogno di un accendino. Chi è? urla sempre più infastidita. intanto sento che gerry scotti parlotta col marito che vuol rispondere alla domanda "Chi ha esclamato la celebre frase: Il dado è tratto?". Urlo da fuori a gran voce: Giulio Cesare. la signora apre la porta. il marito tutto contento vince 50 euro. gerry scotti lancia la sigla. e io?

Wednesday, December 15, 2004

Bidibodibu.

L'organizzazione è sempre stato il mio forte. Sabato avevo preparato tutto: preso il libretto degli assegni, riunito le persone per un aiuto concreto e soprattutto di fatica, prenotato il camion per il trasporto e ordinato il benedetto materasso in vero poliuretano espanso che non so che sia ma mi sa tanto di quella roba con dentro l' uranio così impoverito da provocare piogge acide e falle in ozoni bucati. Scendo nel raparto consegna merci di ikea al piano meno due. Ho il numero 178 e noto che ho appena una quarantina di persone davanti. Mi siedo su delle panche tipo stazione anni quaranta e nell'attesa comincio a immaginare il mio materasso e a fare progetti e a organizzare le persone: tu a destra, tu reggi a sinistra, io lo faccio entrare dal portellone e così via. L'ansia mi cresce addosso come decrescono le persone che mi precedono.
Passa più di mezz'ora e mancano due o tre persone. Ho i nervi a fior di pelle che non mi contiene neanche più tra l'altro. Già me lo vedo arrivare questo materasso unoeottanta per due nuovo di zecca e pezzo pregiatissimo sul quale schiaccerò i miei mejo sonni. Tra una fantasia e l'altra sento bippare il marchingegno e vedo il mio numero sullo schermo. Neanche avessi vinto la cinquina al bingo di piazza re di roma mi alzo in piedi e grido: ce l'ho! M'avvicino al bancone e cerco con lo sguardo qualcosa di molto grosso che abbia le fattezze di un materasso svedese biondo con gli occhi azzurri. Mi consegnano in mano qualcosa tipo un canavaccio da cucina. Penso subito ad un errore e l'addetto mi dice che quello è il modello che ho scelto. Mi consegna soddisfatto anche una busta chiusa contenente la garanzia. La tenga da conto, mi dice. Con aria sconsolata prendo la garanzia e questo cuscinetto in mano. Disdico il furgone e saluto le persone che avevo riunito per farmi aiutare. Prendo la strada di casa e porto su il materasso con tale agilità che neanche ai tempi del liceo durante le partite di pallavolo maschi contro femmine. Leggo le istruzioni del materasso e scopro che si ingrosserà in quattro o cinque giorni. Al momento non capisco perché ho speso così tanti soldi per un materassino che a ostia te li tirano dietro a due lire, specie durante l'inverno. Poi do fiducia a 'sti svedesi e adagio il materasso sul letto. Quello comincia a gonfiarsi neanche fosse blob il fluido che uccide. Io nel frattempo caccio un urlo neanche avessi visto l'ectoplasma di padrepio vestito da cowboy al ballo delle debuttanti. Il materasso si triplica e poi si quadruplica a dismisura. Invade la camera e poi a poco a poco tutta casa. Io con atteggiamento da vero uomo scappo via in cerca di aiuto. Ritorno poco dopo con qualche persona che calmi il materasso. Lo trovo. Lo trovo seduto sul divano che si guarda Biutiful. Una birretta nella mano destra, un salatino nell'altra. Mi saluta a mezza bocca. Anzi mi fa cenno di non disturbare. Pare che Rigge sia il padre vero del figlio di Bruk. Nel bel mezzo di questo momento topico, chiudo la porta alle mie spalle e mestamente me ne torno al lavoro. Stasera non so che fare e non so dove dormire. Forse dovrei trovargli una compagna?

Saturday, December 11, 2004

GrandeMente MarieMarion!

"...Avevamo un sogno che si chiamava Basaglia
che non ha mai parlato di abbandonare i malati mentali alle famiglie disperate
avevamo un sogno che si chiamava lavoro
nessuno ha mai parlato di arroccarlo nel castello dei Privilegi escludendo tutti gli altri
avevamo un sogno che si chiamava sana imprenditoria
nessuno ha mai ingiunto di criminalizzare chiunque osasse mettersi in proprio
avevamo un sogno che si chiamava istruzione pubblica
nessuno ha mai scambiato l'istruzione con i troll firmati
avevamo un sogno che si chiamava Democrazia
nessuno ha mai insegnato che essa esiste in quanto impone il rispetto da tutti verso tutti
avevamo un sogno che si chiamava libertà
qualcuno sa che essere liberi significa che il proprio diritto finisce laddove comincia il diritto altrui?
Ma di più
avevamo un sogno che si chiamava lotta
ed è scritto nei cromosomi di ogni cittadino del mondo
appagare gratuitamente il senso della lotta significa
questo sì cittadino Pezzotta
impigrire e rassegnare relegare nel limbo della nonvitamorire da vivi.
Avete voluto il branco uniformato?
presto ne pagherete le conseguenze.
Noi
i pazzi del libero pensiero
il nostro cervello non l'avrete
no".

Tuesday, December 07, 2004

E stasera sera dò a lavare il mio vestito per l'amore.

Sono un muratore provetto. Chiedetemi tutto: un soffitto blu cobalto costa una trentina d'euro di tinta che devi far fare scegliendo accuratamente i pantoni. Ma costa soprattutto una fatica immane spatolare su e giù con la pennellessa e per di più con la cervicale che si lamenta e mi tiene il muso tutta la sera, tanto che più volte io e la cervicale ci siamo chieste come abbia fatto Michelangelo a pitturare certe chiese senza neanche lamentarsi una volta. Le pareti costano 15 litri di bianco lavabile e traspirante chè loro ci tengono all'ecologia e mi sa che sono pure dei verdi. Però costa anche tanta fatica il giorno dopo pulirle con la spatolina se ti sei scordato di metter per terra dei giornali. Il trapano a punta larga buca le mattonelle che è una bellezza. A patto che tu riesca a fare i buchi sulla stessa linea. Altrimenti potresti ritrovarti uno specchio che pende e ogni volta che ti guardi le possibilità sono due: o speri di diventare zoppo o ti specchi con una scarpa si e l'altra no. Pulire i pavimenti è proprio un lavoro massacrante, non parliamo poi dello zoccoletto che per fortuna è maschio, sennò chi se la sente! Il classico del muratore provetto è il panino con la mortadella, che se non è accompagnato dalla birretta perché si è astemi, ti si ripropone ogni quarto d'ora finchè non te ne torni a casa talmente stanco che non senti né più lo stomaco né più le gambe e neanche la tua vicina che ti chiede che ore sono. Oggi più che mai sono convinta che a ciascuno vada il suo mestiere. Il muratore ai muri. Il pittore ai quadri. Il calciatore sui campi con l'agricoltore. La maestra a scuola. L'amante nell'armadio insieme alle mutande buone e alla naftalina. Il fabbro ai suoi ferri come il chirurgo. Quello che non capisco però è come mai le Lecciso sono in tivvù e non sulla strada vicino a quei lampioni illuminati?

Quanti punti fa l'autostima al superenalotto?

Ieri sera la prima seduta di psicoterapia collettiva. Un sacco di gente nuova. Occhi puntati ognuno sull'altro. Sguardi interrogativi. Braccia conserte. Accavallamento delle gambe come in segno di difesa. Tutti in circolo come gli indiani intorno al kalumè della pace. Mi sentivo tanto Abby di Er che cerca di prendere la laurea senza neanche i punti miralanza. Si parlava di autostima, nella seduta di ieri. Non ho seguito granchè. Ho pensato subito di stimarmi moltissimo e di non aver bisogno dei consigli di nessuno, neanche gratis. A poco a poco il mio atteggiamento però è cambiato. Credo sia importante darsi una possibilità e non chiudersi a riccio solo perché si ha paura di aprirsi o di trovarsi dentro cose che potrebbero fare male. Così alla fine ho scoperto tanto di me: ho scoperto che nella lista dei punti sull'autostima posseggo troppo di una persona che si stima ma anche troppo di una persona che ha una bassa considerazione di sé. E ora non so come conciliare il tutto tanto che al bar oggi non sapevo neanche come comportarmi con clara. Ho scoperto che non riesco a fare le visite guidate con cicerone dentro me stessa perché non riesco a chiudere gli occhi di fronte agli estranei e a lasciarmi andare rilassandomi. Ho scoperto che la gente invece si lascia andare benissimo ed è un piacere guardarla di nascosto e giudicarla anche e magari sghignazzare sotto i baffi. Ma la cosa più importantante che ho scoperto è che non ho mai un foglio e una penna a portata di mano. Il venti ci sarà la prossima riunione. Credo che andrò già mangiata. O forse porto la penna, la carta e anche pane e mortadella. Hai visto mai.

Monday, December 06, 2004

Nonsense.

Oggi non so se sono felice o triste. Nell'incertezza propendo per l'essere triste chè fa sempre pandant!

Saturday, November 20, 2004

L'amara storia di una placca di pus.

io e la mia placca in gola siamo una cosa sola. ci vogliam bene come due sorelle. lei sta lí che rimane attaccata a me anche nei momenti piú difficili. quando sto male è sempre presente. e non mi fa mancare niente. mi porta il brodino caldo e mi misura la febbre ogni tre minuti, che poi lo sa che è la mia gioia sapere che sono influenzata. ogni tanto la mando al sidis a fare la spesa e mi sa che fa pure fa la cresta per spedire i soldi ai negretti del terzo mondo e giocare al lotto insieme a franca. oggi ha speso per esempio quarantanove euro tondi tondi e mi ha riportato a casa solo due buste di cose inutili. s'è comprata addirittura lo spazzolino nuovo per i denti e novella duemila perché voleva sapere di bettarini e della ventura. mi sa che la mia placca è un po' pettegola. sa i cavoli di tutti gli inquilini della palazzina. sa addirittura che hanno anche occupato l'appartamento della vecchia del quinto piano morta due settimane fa. pare che lo volesse far prendere a un suo parente ballerino albanese ma poi alla fine lui ci ha rinunciato e ha ripiegato su una roulotte con giardino al settimo ponte. ieri siamo uscite insieme e debbo dire che lei fa sempre la sua porca figura: tutti che le chiedono come sta e io passo sempre inosservata. devo ammattere che un po' mi rode ma il piú delle volte me ne faccio una ragione. insomma, non per fare i conti della serva, ma pago sempre io per lei, senza aggiungere quel che mi costa di propoli spray, di propoliurto, di vitamina c, di pasticche balsamiche con dentro ogni ben diddio compresa la pepata di cozze e vongole e la zuppa del casale. credo che un minimo di attenzione la si debba riservare anche a me, o no? ma sai che nuova c'è: io stasera non so se me la porto in giro. lei vuol rimanere a casa a vedere uomini e donne ma da elena c'è la gara di trivial che vinco sempre qualche laurea e mi sento tanto dottoressa. e se lei non vuol venire, 'sti cavoli. mica siamo come i carabinieri!

Non mi va di finire il post.

un mostro si sarebbe sentito meglio di me. ero lá assorta al semaforo rosso e mi giro a guardare un bambino col suo papá su un vespino d'epoca. non so perché quell'immagine mi ha fatto una grande tenerezza e cosí ho fatto al bambino un bel sorrisone di quelli che ti scoprono anche le gengive arrossate. il bimbetto s'è girato dalla parte opposta come se lo avessi scocciato. poi si è girato di nuovo verso di me e mi ha guardato male. sono ripartita e non ci ho badato piú di tanto, finché al semaforo successivo m'accorgo che in un taxi c'era una bimbetta in braccio alla sua mamma. mi ha guardato la bambina e io di nuovo col cuore aperto e la mano tesa gli ho sorriso senza arrivare stavolta a scoprire le gengive. niente da fare. per tutta risposta mi son beccata due occhi d'odio misto a paura. ho cominciato a riflettere su questa cosa. anche se in un primo momento ho imputato questa reazione cosí strana a qualcosa di particolare sulla mia faccia, che so macchie di vaiolo spuntate dopo il viaggio a tagliacozzo o una forma fulminante di herpes zoster dovuto a quelle sette salsicce mangiate l'altra sera alla sagra del maiale e della pecora a vetralla. appurato che la mia faccia è sempre la stessa e non ha neanche mezzo brufolo, ho dovuto concludere altro: che non ci fossero piú le mezze stagioni mi sembra stabilito anche dall'associazione dei tronisti di maria de filippi; che i neri non ballano solo il tip tap pur avendo il ritmo nel sangue non fa piú notizia neanche in padania come non scuce il benché minimo stupore che qui intorno fino a qualche tempo fa fosse tutta campagna e che i mulini girassero a vento malgrado don chiscotte fosse in altre faccende affaccendato. l'altro a cui sono arrivata dopo il mio incontro/scontro con quei ragazzini è che i bambini vanno in giro con delle facce cosí depresse e torve che neanche il mio commercialista ai tempi della visita della finanza. ma che ne so, io mi immagino i bambini come il fanciullino che mi porto dentro: allegri, spensierati, sorridenti, che fanno i pensieri piú strampalati e disegni colorati e immaginano animali e cose solo guardando una nuvola in cielo. quelli che vedo in giro mi mettono a disagio. mi impauriscono per la loro freddezza, per quegli occhi cosí determinati. per quell'aria di sufficienza e quell'essere scostanti e seri e padroni del mondo giá da piccolini. ho paura perché saranno padroni del domani, anche del mio domani: saranno il futuro medico che mi curerá l'alopecia o il ginocchio della lavandaia, la sciampista che mi laverá i capelli bianchi azzurri, il veterinario che si occuperá del mio cane cieco o la cameriera che mi servirá un piatto caldo al ristorante, il politico a cui daró il mio voto o il prete che dará a me l'estrema unzione. e ho il terrore di finire in mano loro. che poi, mi chiedo, se uno perde il gusto della vita e del gioco giá da piccolo, ma che campa a fare. non so chi dice che l'ironia è il sale della vita: possibile si mangi sciapo giá da piccoli?

Saturday, November 13, 2004

La mia vicina s'è sentita male stanotte.

bum bum e non ci capisco un cavolo. bum bum sento che battono alla porta. bum bum realizzo che qualcuno mi sta chiamando. corro, giro la chiave ché di solito son sempre quelle due o tre mandate. la vedo. capelli dritti in testa da piega di cuscino. aria emaciata e sofferente. mani giunte sullo stomaco. alito pensante, quasi acido. m'arrabbio per un secondo. ma poi mi fa tenerezza. si sente male e vuole correre al pronto soccorso. le serve un passaggio. io non ho la macchina. ma ci pensiamo dopo. la faccio sedere sul divano. è piú piccola di quello che ricordavo e anche piú invadente. le chiedo cosa si sente. un malessere generale risponde a mezza bocca. le chiedo dove le fa male questo malessere generale. dice la pancia, lo stomaco, il cuore, la testa. un cesso, le ribatto io per cercare di tirarla su. lei non si tira su anzi è piuttosto depressa. non sono un medico e non so che fare. le chiedo se vuole rimettere. le chiedo se ha l'apparecchio per la pressione, se si tratta di influenza, se soffre di calcoli, se è andata in bagno la mattina, se il marito la tradisce. cerco di distrarla in ogni modo e soprattutto di avere una voce rassicurante per quanto uno possa essere rassicurante alle tre di notte dopo esser stato svegliato di soprassalto nel bel mezzo della fase rem. mi sento tanto il dottor carter di ER e credo che in ognuno di noi alberghi il sogno di giocare al dottore, di inseguire un'autoambulanza che corre a sirene spiegate e di vincere al lotto senza aver giocato. continuo a farle domande ché mi sto pure spazientendo. le chiedo se vuole un bicchierino di porto. magari digerisce. a casa ho solo quello che mi hanno regalato a un natale insieme alla classica colomba mandorlata. che tirchi. mi dice che un pezzetto di colomba le andrebbe. ma poi sento che sta per sentirsi male al solo pensiero di ingerire cibo. capisco che il problema è lo stomaco. le chiedo se ha preso freddo. se ha mangiato le cozze. se ha i vermi e se ha fatto la sverminazione. lei accenna un sorriso. patch adams sarebbe contento di me e pure robbin uilliams. le chiedo se vuole una camomilla. dice di no. per fortuna perché non ce l'ho. le chiedo se vuole un bicchiere d'acqua calda che rilassa i muscoli e aiuta la digestione. lei accenna a qualcosa con la bocca. non capisco che tra l'altro con l'etá sto diventando anche sorda. le faccio ripetere ció che ha detto. Canarino è l'unica parola che riesce a dire. neanche fosse un pappagallo. corro subito in cucina. ho dei limoni quasi verdi muffa che non sapevo che farci e comincio a scaldare l'acqua e a gettarci scorze di buccia all'impazzata. faccio bollire 'sto bibitone che mi sento magamagó. appena freddo lei lo beve tutto d'un fiato. apro la finestra per lasciar passare un alito d'aria. i malati han bisogno d'aria fresca: aiuta il rigor mortis. vado in bagno a rifarmi il trucco. torno e non trovo la trovo piú. credo abbia preso il volo. sará stato per quelle scorze di troppo nel canarino?

Visto da qui.

quando non ho niente da fare mi metto in finestra. guardo fuori e passo il tempo. in finestra puoi conoscere la vita delle persone. chi stende i panni puliti giá alle otto di mattina e chi li ritira poco dopo. chi porta il cane a spasso e chi il pupo in giro. ogni tanto qualcuno mi guarda e mi saluta e io faccio sempre finta di essere indaffarata. sgrullo la tovaglia della sera o cerco con lo sguardo qualcuno che mi ha citofonato. i ragazzi alla panchina parlano della roma e della lazio, ruttano quasi come me e fumano ogni genere di cose comprese le radici dell'albero dove fa i bisogni il cane del marana. le ragazzine cominciano a sculettare presto. sono bambine che ho visto crescere: oggi sono donne in miniatura tutte cellulari e gridolini isterici. i piccoletti ti chiedono sempre che ore sono. maria si ferma e parla del marito che non c'è piú e per fortuna, dice lei: la picchiava col giornale come faceva con rocki, il loro cane. maria pesa quasi cento chili. va in giro con lo stesso vestito a fiori d'estate e d'inverno. credo sia povera. o forse solo pigra. poi c'è anna che lavora alla mensa e ha un figlio che starei ore a guardarlo. lui è fidanzato a casa, è un bravo ragazzo e pure fedele. cosí mi rifaccio con un tipaccio che sembra bukowski. è un po' sdendato e quando chiama il figlio lo senti a tre portoni di distanza. non so cosa faccia nella vita. forse lavora di notte o forse lo mantiene la moglie che fa le pulizie da ikea. lo guardo e lo trovo un tipo tosto, un duro che, ogni volta che mi saluta, io arrossisco. è un onore essere salutati da lui. e anche dal mandingo, il ras del quartiere. passa un sacco di vita qua sotto: donne incinte che sperano nel contributo dello stato. uomini allegri senza speranza. drogati o solo emarginati. ladri e guardie. vittorio poi è tutto un programma. mi chiama da sotto e mi parla di ciclismo e di coppi e bartali e tra un ricordo e l'altro mi chiede sempre una sigaretta. faccio carte false per rimediargliela. io che neanche fumo. poi c'è franca la vicina che sta sempre all'erta e sa tutto di tutti. lei peró non s'impiccia. qui c'è ancora questa regola. maura strilla e sbraita. ha gli occhi storti e sembra la figlia del conte mascetti. mi dá pena guardarla. mi chiede della garbatella lei che non è stata neanche a ostia. crede che la vita sia fuori da questo posto. chi glielo spiega che la vita è dentro di noi? il pezzo forte è patrizia. saluta tutti ma disprezza tutti. credo sia una balorda. se a natale le mandano la tredicesima si comprerá la lavatrice. chiede sempre qualcosa a qualcuno compresa me. una volta lo yogurt per il pupo, una volta l'aglio, una volta i punti della spesa, una volta dieci euro. lo fa con nochalance. e tu rimani lí come un ebete e mentre pensi non sai cosa risponderle. di solito faccio finta che squilla il telefono e poi a fine giornata faccio i conti di quanto ho perso stando affacciata. o quanto ho guadagnato. dipende dai punti di vista.

Wednesday, November 10, 2004

Mi hai ispirato un post.

Andavo di corsa stamattina ma due chiacchiere con la portiera ce le ho scambiate. Poverina, mi sembra così sola. È dura la vita che fa. Io mi sento una regina al suo confronto. Lei viene da qualche paese della polonia che già solo la parola mi fa intirrizzire dal freddo e mi darei fuoco all'istante. M'ha sconcertato che, neanche mi sono fermata, ha incominciato con tutta una trafila di lamentele sul governo e su berlusconi che ha rovinato l'italia e sulla legge dell'immigrazione che è ingiusta e che si stava meglio quando si stava peggio (pensavo che 'sta cosa fosse tipicamente italiana) e poi ha aggiunto anche tutta una solfa sul buco dell'ozono e che non esistono più le mezze stagioni e che con l'inverno lei si gela e scricchiola tutta. Tra me e me ho detto: ma perché questa qui non se ne torna al Paese suo, ma poi, a guardarla bene, m'ha fatto pena e ho cercato di farle vedere il bicchiere mezzo pieno; le ho detto che qui in Italia la gente è in fondo in fondo brava gente e le ho ricordato dei campi di concentramento che sarò pure ignorante ma mi sa che dalle sue parti ce ne sono molti e pure famosi. Le ho detto che bene o male qui il clima non è così rigido. Che in autunno roma è tutta uno spettacolo con colori che vanno dal rosa confetto al rosso aranciato e che a due metri abbiamo anche il mare, sporco ma pur sempre mare. Mi sentivo veramente come il dottorMorelli che ha una parola per tutti. Lei tuttavia è rimasta sulle sue: è proprio tutta d'un pezzo 'sta portiera qua. Boh, ho pensato, saranno questi qui del nord che non danno tanta confidenza. In mio salvataggio è arrivata una chiamata sul cellulare tanto più che la conversazione s'era fatta imbarazzante per via della mancanza di argomentazioni da contrapporre alle sue lamentele. Sono schizzata in macchina e, per paura di farle male, l'ho accostata delicatamente, la "portiera" polacca, ma lei non s'è scomposta. Anzi le piace molto il suo lavoro. Meglio che fare la ruota di scorta, ha aggiunto. E chi può darle torto?

Thursday, November 04, 2004

Il melone d'inverno: un zsucchero.

S'è squadrato mercurio. Dice mamma che entrerà anche marte in scorpione. E che ci saranno nuove energie. E così mi convinco che andrà tutto bene. E che avrò nuova forza. Mica capita tutti giorni che mercurio ti si squadra: è una di quelle occasioni che oggi ho messo su i calzini puliti. Che poi se proprio vogliamo andare ad analizzare non so neanche come sto. La prima sensazione è che mi sembra di galleggiare. Di non sentire niente. Di essere come quei pugili che hanno appena preso un gancio e che al centro del ring non sanno se le stelline che vedono sono il tilt del biliardino o i lampeggianti di qualche auto in doppia fila. Ho tremila e una sensazioni dentro, emozioni che s'alternano sulla mia faccia, sulla mia pelle, nei miei occhi con estrema velocità ma in modo causale. Ho pianto a La vita che vorrei. Ho riso per aver rubato un cero al cimitero. E pensavo alla faccia di mia nonna contenta per quel gesto e per aver ricevuto un candelotto sottratto alla statua di gesù. Provo rabbia e serenità nello stesso istante. Amore, odio, affetto, sincerità, orgoglio, saggezza, pazzia m'escono dal cuore in random, senza più filtri, senza trovare ragioni dettate dalla ragione. Ho chiuso con della gente. Penso che le nostre vite vadano avanti nonostante la nostra indole che rimane sempre quella, come la morale della Girella. Ci creiamo un Personaggio, ma poi alla fine siamo quel che siamo. Ci si modifica. Si cerca di imbellettarsi l'anima alla meno peggio. Ma nel profondo si rimane quel che si è. Sono persino serena in tutto questo. O comunque questa decisione fa parte della sensazione di galleggiamento. Quindi non so ancora come sto. Penso a quanto razionalmente si può padroneggiare se stessi, ma poi, in una giornata qualunque, qualcosa ti sfugge di mano e ti riveli per quello che sei sempre stato: un nessuno qualsiasi che s'arroga il diritto di entrare nelle vite delle persone con la grazia di un panzer faust ai tempi della guerra. Un nessuno qualsiasi. Potrebbe essere il titolo di questo post. Tra l'altro non posso non pensare alla Mazzantini. Non riuscivo a dormire, l'altra notte. Ho sfogliato, violentando me stessa, qualche pagina di Non ti muovere. E chi s'è mosso? Non mi sono scollata dall'idea che m'ero fatta: che porci, cani e nessuni qualsiasi scrivono libri e fanno film. E oggi sono sempre più convinta che andrò a piedi a Montichiari. E cercherò Aldo Busi per valli e per monti. E gli dirò quanto lo amo. E che è un Grande. E che fa bene a sentirsi un dio, Lui può. E che tra lo Scrivere e il vomitare parole alla rinfusa c'è una differenza abissale (ma Lui lo saprà già). E che i ragazzi non avendo più un background culturale di spessore ingurgitano qualsiasi cagata faccia moda, compresa la posologia dell'aspirinetta C e il libro che sto scrivendo a 6 mani con Franca la vicina e con Clara la barista su Penelope e il suo ragno che tessono tele di giorno e guardano la tele di notte. Credo che poi alla fin fine ognuno debba avere il posto che merita. Quindi la Mazzantini vicino al velodromo ce la vedo bene. Fatto sta che, a parte parlare di marti e di mercuri, di nessuni e di Grandi, non so bene il senso di queste parole. Non c'è un vero filo logico, come nella vita del resto. Ma son certa che dopo il libro su Penelope farò anche un film: pupa, vita e opere. Che dici: sarà un po' pretenzioso?

Tuesday, October 26, 2004

Una strana presenza.

Uno dei più grandi desideri della mia infanzia, dopo la piscina di vero cloro per barbie e ken, il 45 giri di nikka costa e il dolceforno, era il lavello d'acciaio. Il lavello d'acciaio era una di quelle modernità che ti sentivi ricco e famoso come nei telefilm. Ricordo che la domenica c'erano delle file lunghe chilometri a casa di Delia, la nostra vicina, per ammirare questo prodigio della cucina così strano e sfacciatamente luminoso. Io rimanevo estasiata e rifacevo sempre la fila due o tre volte, insieme ai parenti di frattamaggiore, neanche avessi di fronte la venere di Milo o la Nike di Samotracia. I figli di Delia facevano tutti gli smorfiosi con me. E io non potevo competer con loro se non sfoderando le mie doti d'affarista vendendo al cancello della palazzina fumetti, figurine doppie e oggetti che rubavo a mio padre (oggi te lo posso dire, papà: ti ho venduto anche quelle spille colorate con su scritto una roba strana tipo CCCP).
Qualche giorno fa una disgrazia a casa mia: il lavello di porcellana ha tirato gli ultimi. Mi ha mollato alle tre e mezzo di un venerdi notte allagando la cucina e parte del salone, facendo correre gli scarafaggi di qua e di là e soprattutto costringendomi a lavare per terra chè eran mesi che non lo facevo. Nonostante il danno, non so perché non ero molto arrabbiata: mi sono ricordata improvvisamente di quelle bellissime domeniche a casa di Delia e così ho avuto la brillantissima idea di coronare questo sogno segreto seppur alla veneranda età di qualche anno dopo. Ho girato in lungo e in largo in cerca di un lavello d'acciaio da incasso. L'ho trovato. L'ho ordinato e soprattutto ora lo posseggo. Ho chiamato subito Franca che, per l'occasione, si è portata dietro anche i suoi due cani ma non so perché mi ha guardato con aria preoccupata. Così, non paga della reazione di franca, ho invitato qualche amico a casa. Ho acceso tutte le luminarie più disparate. Ho comprato candele e candelotti che neanche a SantaMariainVia. Ho proiettato il faretto del quadro buono sul lavello e ho acceso anche la luce della cappa. Lui tutto felice ha fatto la sua porca figura. Ci sono stati complimenti a iosa da parte di tutti. Per la prima volta mi sentivo come Delia. La serata è stato un successone. Avevo i lacrimoni agli occhi. E il lavello mi guardava con aria soddisfatta. Il problema è stato il giorno dopo quando ho dovuto lavare i piatti: ho scoperto che un lavello in acciaio richiede una cura che neanche un figlio dai 0 a 12 anni. La prima sera ho passato più tempo ad asciugare tutte le goccioline dalla prima all'ultima che non a docciarmi, sistemare il letto, cucinare, mangiare e portare giù il cane della signora anna. Ogni movimento sbagliato in cucina, per Lui diventa una tragedia. Ti guarda con quell'aria severa e ti ammonisce se lo lasci senza cure. La mattina ho paura anche a farmi il caffè giacchè Lui è già pronto con i conti della spesa e la calcolatrice per sanare il bilancio della casa: dice che spendo troppo in saponi, pizza e in gas. Pare che ai suoi tempi i piatti si lavassero con l'acqua fredda e non capisce tutto questo spreco di acqua bollente. Non parliamo poi di quando devi scolare la pasta. Devi chiedergli l'autorizzazione a procedere, aprire l'acqua fredda per non sbollentarlo, non far arrivare le gocce bollenti sulle guarnizioni, sciacquare subito la vaschetta chè Lui è allergico anche all'amido della pasta. Un vero sacrificio. E pensare che uno dei miei più grandi desideri della mia infanzia, dopo la piscina di vero cloro per barbie, il 45 giri di nikka costa e il dolceforno, era il lavello d'acciaio. Non so se stasera mi va di affrontarlo. Sono molto restìa: e se gli portassi dei fiori?

Saturday, October 23, 2004

dice..ma tu chi sei veramente?

E' ancora buio fuori. sono le sei e sono in piedi. esco a fare due passi: si fa per dire visto che prendo la macchina per sgranchirle un po' le ruote. mi dirigo verso l'autogrill per fare colazione; che poi colazione è una parola grossa: ho ancora tutto sullo stomaco, pranzo di ieri compreso. la cittá è giá in movimento e vista dall'alto dei pensieri sembra un grande formicaio dove tutti corrono chi di lá, chi di qua. il camion dell'immondizia che di solito sento sbuffare dal mio letto è giá qui fuori all'opera. mi chiedo cosa faccia tutta questa gente in giro a quest'ora del mattino. me lo chiedo e scordo subito la domanda. è ancora buio fuori. e ho ancora il buio dentro. il mio cappuccino è bollente. mi soffermo sui libri: i soliti cellofanati da classifica che stanno lí in bella mostra per essere distrattamente comprati da gente distratta. compro novella 2000 e Chi, il top delle letture da bagno. comincio la mia dose mattutina di starnuti che sembro un tubercoloso allo stadio finale. come al solito non ho mai abbastanza fazzoletti e finito quello che porto dietro (sempre lo stesso incartapecorito da anni) comincio a pulirmi il naso con la manica della maglietta, con la felpa e via via con tutto quello che mi trovo intorno spargendo, ad ogni fragoroso starnuto, bacilli e malattie come il santo padre dispensa con la mano saluti e benedizioni. mi sento tanto il papa! è ancora buio fuori. e in me non c'è luce. tu chi sei veramente è una domanda che è piú facile rispondere al telefono o al citofono. Elle scrive che le metto soggezione per via del mio essere saggia. io non so cosa sono. ogni giorno mi sveglio con un pensiero diverso. sará per via del buio? non sono saggia. non sono buona. non sono neanche cattiva. forse non sono niente ma con dei buoni propositi per costruirci sopra qualcosa. ho un sacco di difetti che cerco di nascondere dietro quest'aria da brava ragazza. ma non sono neanche una brava ragazza. il buio m'acceca. e mi vedo piena di paure e piena di problemi. mi mette a disagio la gente, per esempio. mi piace stare in gruppo ma mi piace stare sola. mi piace viaggiare ma non mi piace mettermi in viaggio. mi piace lavorare ma sto meglio se non lo faccio. e in questa schizofrenia dell'anima arrivi anche a chiederti tu chi sei veramente. non metto freni al mio essere. metto barriere nel farmi capire. e intanto uno spiraglio di luce s'è affacciato in questo cielo nuovoloso. ed è l'alba. meglio il tramonto, peró. i saggi veri ti dicono che le risposte arriveranno quando meno te lo aspetti. io non voglio nessuna risposta. e forse non voglio neanche sapere chi sono veramente. perché spiegare chi si è veramente è stoppare una crescita, fermare un processo di evoluzione e rinchiudersi dentro una categoria ben definita. dice...tu chi sei veramente. eccheneso! spiegamelo tu.

Ir Grante Carceriere dei sentimenti.

Ti voglio bene, papá.

Wednesday, October 20, 2004

Non so se odio più i gatti o le zanzare.

Ho trovato un metodo per tenermi in forma. E' gratuito, stimola il movimento di braccia e gambe senza troppo sforzo, tiene allenato l'occhio e il campo visivo. Uccido zanzare. E mica quelle zanzarine secche secche, denutrite e lente che c'erano un tempo, quando qui intorno era tutta campagna. Da qualche tempo girano dei veri e propri fenicotteri neri puntinati di bianco che quando si fermano agli incroci lasciano passare anche le vecchine uscite dalla posta con la pensione. Io due o tre di loro le tengo qui per rispondere al telefono, per aprire la porta e per far credere a berlusconi che ha creato un milione di posti di lavoro e che la finanziaria sta andando benone. Le altre le uccido. Ho una tecnica infallibile che ho adottato dopo aver visto varie volte L'ultimo samurai con tom cruise. Lascio andare tutte le energie e libero la mente. Apro il terzo occhio e colpisco senza neanche vedere. Debbo dire che le prime volte è stato un po' traumatico, tanto che più di un cliente mi ha trovato che mi sbracciavo a caso come i vigili a piazza venezia. Ora colpisco senza guardare. Spiaccico zanzare a destra e a manca. Riesco a colpire anche alle spalle senza girarmi. Ho un media di dieci quindici zanzare al dì, escluse le due o tre che lavorano qui e che qualche volta m'aiutano a colpire. Ho dei bicipiti così pronunciati che neanche avessi lavorato anni e anni in palestra. Ho sviluppato così i riflessi che quando la sera scatta il verde al semaforo io sono già a casa davanti a gerry scotti. Ho aperto così il terzo occhio che riesco a vedere sky senza decoder e clara senza vestiti. E poi mi sento in forma, c'e' da dirlo. Mi sento come quei grandi cacciatori alla hemingway che col cappello in testa e la divisa color sabbia se ne vanno nell'africa lontana a cacciare leoni e tornano con teste ruggenti a forma di trofeo. Anch'io ho dei trofei. Tengo le testine delle zanzare appese al muro con uno spillo. Ogni tanto le guardo e mi sento un mostro. Ma solo ogni tanto. A proposito ora avrei da fare: splash!

Friday, October 15, 2004

Così.Tanto per dire.

Sono un cincinino pigra, lo riconosco. Non ho grandi difetti nel senso che non bevo, non fumo, non uso sostanze lesive al cervello, non vado in chiesa, amo la mamma, pago le tasse, faccio attraversare le vecchine sulle strisce come i bravi boy scout, non abbandono mai gli animali sulle autostrade, tutt'al più li cedo a famiglie bisognose, mi riempio la bocca con quel tanto di buonismo che basta e con quel poco di psicologia da romanzo rosa per far scena. Sono pigra, lo so. E' uno di quei pochi lati di me che mi piacciono un sacco. Faccio parte di quella schiera di sognatori come Troisi che spera di veder muovere gli oggetti con la sola forza del pensiero. Mi sposto in macchina anche per fare il giro dell'angolo e se posso evito anche quello. Essere pigri è un lavoro. A volte stressante. Decidere di alzarsi dal letto il sabato mattina mi costa così tante energie cerebrali che poi ho bisogno di riposare tutto il giorno, domenica compresa. Non sono di quelle persone che fanno jogging, tennis, squash, beach volley, corrono a scuola d'inglese a pranzo, al corso di ceramica la sera e al corso notturno di origami. Mi basta quel che so. Nuotare senza affogare, dare due calci al pallone senza neanche spostare i piedi, giocare molto bene a tennis alla play station, camminare da qui a lì tanto per dimostrare coram populo che ho le gambe e per di più lunghe. Sono pigra e non me ne vergogno. Anzi odio quelli che si dannano l'anima per riempirsi la vita di impegni. Io non voglio impegni. Mi mettono in crisi le decisioni, le scadenze, il prendere appuntamento anche per la serata stessa. Ci vediamo se ci incontriamo, preferibilmente dentro una casa, chè fuori è stressante. Potrei guardare giornate intere lo schermo nero della tivvù in attesa che il telecomando si sintonizzi sul mio programma preferito. Faccio il minimo indispensabile per non farmi atrofizzare i muscoli. Alleno il cervello, a volte, quando non mi costa fatica. Credo nel motto: volere è potere. Sono della corrente di pensiero che sostiene che quello che la mente vuole, la mente fa; così sto educando gli elettrodomestici in casa perché se la sbrighino da soli. Guardo la lavatrice e le dò le istruzioni per il suo uso: ogni tanto per aiutarla accantono i panni sporchi bianchi da quelli colorati. Forse qualche risultato l'ho ottenuto. Stamattina m'ha portato il caffè a letto. Ma per il lavaggio dei panni sporchi ancora è lunga, però!

Tuesday, October 12, 2004

Nel mio quartiere.

Il grande evento del mio palazzo (a parte quando vengono le guardie per qualcuno ai domiciliari) è la riunione straordinaria di condominio. Non siamo come quei palazzi del centro con un amministratore che, una volta al mese o giù di lì, organizza una riunione dove tutti si scannano, parlano male del vicino e della moglie del vicino e si rovinano il fegato ma il giorno dopo buongiorno e buonasera in ascensore. Al mio palazzo non ci salutiamo mai perché siamo tutti "ignoranti" ma sinceri. La riunione viene indetta quando accade qualche calamità soprannaturale tipo quando qualcuno brucia "per caso" il portone con relativi citofoni e cassette della posta, quando si vuol fare la spia su eventuali appartamenti vuoti da occupare o quando ci si vuol mettere d'accordo su chi chiama quelli delle fogne perché veronica, la ragazza del terzo piano, oltre agli assorbenti usati qualche volta e "sbadatamente" butta nel vater anche i panetti di ascish. I nostri appuntamenti straordinari sono scanditi dalla musica soave dell'autoradio del Marana che pompa a intervalli regolari. L'ultimo successo che ci propina nelle ore più insolite e assurde della giornata tipo alle due del pomeriggio o alle otto di sera è "Vai Girardengo vai grande campione..." una canzone del novantacinque ma che dalle nostre parti va ancora per la maggiore. Il marana è un personaggio tutto da vedere: un occhio di vetro perso in una rissa e un figliolo in tutto spicciato a lui tranne che per l'occhio di vetro. L'altra sera ci siamo visti giù nell'androne per metterci d'accordo su chi avrebbe ridipinto i muri e le scale fino al quinto piano. Damiano, il calabrese, non parla mai. Forse si vergogna del dialetto. Ma non lo guardare mai per storto. Ha il coltello a serramanico sempre pronto. Patrizia scende con tutta la prole: un figliolo di due anni, il cane di tre e due subumane che non hanno né arte né parte però son buone buone e non si lamentano mai. L'egiziano del quarto piano non parla la nostra lingua. Però non si tira indietro quando deve pagare. La suora è il pezzo forte del palazzo. Ha il velo blu e non so a quale ordine appartenga. Ha paura che i vandali le entrino in casa. M'hanno raccontato che in salone tiene persino la farina sparsa per terra per controllare eventuali orme di estranei. Pare sia matta. Certo però è furba. Abbiamo trattato un sacco d'argomenti durante l'ultimo incontro: la pittura delle scale, la colletta per l'ascensore e per i citofoni, abbiamo sparlato di veronica visto che era assente e l'argomento clou è stata la notizia che la ragazza del figlio di franca è incinta. Sono partite le scommesse su chi fosse il padre: io punto su Pisellino. Il calabrese dice che non è stato lui. E ti credo, c'era la moglie davanti!
Mi hanno eletto capogruppo e così ho raccolto tutti i soldi che oggi ho perso alla slot machine di clara. Ho pianificato i lavori per le scale ma, per prender tempo, gli ammollato una tiritera su quanto costa la vernice a tempera e sul fatto che agli smorzi non si risparmia più come una volta, gli ho comunicato anche il costo della manodopera e gli ho tirato su anche tutta una storia sugli ammortizzatori sociali che mi sentivo quasi come Siniscalco. Alla parola ammortizzatori s'è svegliata una delle due subumane: dice che allo sfascio del cognato me li può rimediare lei sottocosto. Verso le nove ci siam salutati chi per un impegno chi per un altro: io dovevo vedere ER.
Stamattina scendendo ho incontrato il calabrese. Non m'ha salutato. Io neanche. Mi rispetta di più,così.

Sunday, October 03, 2004

Rimango sempre la stessa ragazza acqua e sapone.

capita che una mattina come tutte le mattine ti svegli e accendi il computer e, neanche fosse il giorno della befana, trovi delle sorprese che non ti aspettavi. capita che apri la posta e anziché trovarci le solite quattro e mail scarcagnate come quella dell'ufficiale giudiziario della tiscali che ti cerca per vecchie bollette arretrate e mai pagate, o quella della casa di preghiera di suor Mariapia che parla solo di santi e di dio, o l'e mail che ogni santa volta vuole "enlargiare" il tuo penis, capita che ti spuntino dal nulla delle lettere un po' strane. capita che queste mail ti avvertano che sei stato nominato (anche se non fai parte del cast del grande fratello) nella blogosfera e che un tale luca s'è appropriato di un tuo post che ti vergognavi anche a postare.
il sogno della mia vita, lo confesso, è sempre stato quello di fare l'investigatore. quando c'è da scoprire gli altarini di qualcuno sono sempre la prima ad essere disponibile e a prestare la mia opera anche senza retribuzione, tanto che una volta, per aiutare un'amica, ho dovuto seguire in piena notte una persona che, accortasi da subito di essere seguita, m'ha fatto fare il giro del colle oppio quattro volte e alla fine mi ha offerto anche un cordiale al bar delle guardie. in ricordo di quei giorni, comunque, mi sono messa alla ricerca di questo luca. ho fatto un giro tra i blog dove il post è stato anche postato e brillantamente commentato. avevo le lacrime agli occhi e le mani tutte sudaticce per tanto onore dato che i miei accessi giornalieri sono cosí scarsi che shinystat mi ha anche citato in giudizio per la cattiva pubblicitá che gli faccio. Ho messo al lavoro mio padre, pensionato, che ogni giorno ad ogni ora clicca per due o tre volte sul mio blog e anche la vicina di casa della zia di franca che clicca nella stessa modalitá peró ad ore alterne rispetto a mio padre (sennó shinystat lo capisce!). insomma non ho ancora risolto l'arcano. quello che posso fare peró é ringraziare fin d'ora luca o chi per lui, chiedendogli se oltre a mandare in giro i miei pezzi, puó provvedere anche a saldare i conti della tiscali e a passare in erboristeria per comprarmi il propoli e la vitamina C ché, data la folla qui sotto per via di questo post, non me la sento proprio di affrontare i fotografi!

Wednesday, September 29, 2004

Un ponte per...la follia.

Ho deciso che mi prenderò un anno sabbatico. Ne ho bisogno. Mi farò un bel giretto in iraq con la mia amichetta del cuore. Voglio giocare alla pace nel mondo chè la sera risiko m'ha un po' stancato. Se sarò fortunata verrò rapita e il mondo al completo si mobiliterà per me, si faranno fiaccolate nelle città più importanti (compresa Pomona) e i politici si occuperanno della mia storia e anche mauriziocostanzosciò e mariadefilippi mi dedicheranno puntate su puntate dei loro programmi. Tutti penseranno che sarò morta o che starò dentro un tugurio col cappio al collo o in una gabbia con le catene ma io in realtà starò bene come un papa. I miei carcerieri saranno gentili, ne sono sicura, e si preoccuperanno di ciò che voglio mangiare e se vado al bagno chè con 'sti cibi arabi divento sempre stitica. I miei rapitori non saranno i soliti carcerieri, di quelli che mettono il catenaccio alla porta e ti tengono al buio e ti staccano pure mezzo orecchio o al brutto ti sgozzano; no, saranno delle persone fantastiche, mi prepareranno il panierino per il viaggio di ritorno e mi chiederanno anche perdono: che bello! Credo che questa vacanza mi farà veramente bene. Se sarò fortunata ingrasserò pure un chiletto che con tutto 'sto lavoro di volontariato che faccio dicono tutti che sono sciupata. Anche il presidente della repubblica parlerà di me la sera a cena con franca e il papa pregherà per me nelle laudi mattutine. Insomma andare in iraq, signori miei, lo consiglio a tutti. È meglio che andare a sharm el shaik chè l'ultima volta la cammellata notturna nel deserto non m'è piaciuta più di tanto. Quando tornerò ringrazierò questo popolo fantastico che è il popolo iracheno. Dice che laggiù qualcuno è morto. Mah? Sarà...starei attenta però a tutti questi allarmismi. Saranno le solite voci di corridoio!

Sunday, September 19, 2004

Touch Down!

Un proverbio indiano dice che per conoscere una persona devi camminare nei suoi mocassini, mio padre aggiungeva che per giudicare una persona devi vederla mangiare a tavola. Io nel mio piccolo dico che devi anche vederne il comportamento al bar. Io e lei. Ci guardiamo da lontano come in quei duelli al sole, quelli che vedi nei film dove sparano tutto il tempo e vanno a cavallo. Cercando di non perderla, io dribblo due vecchie incartapecorite con la borsetta stretta in mano e lei inciampa in un guinzaglio di un cane abbandonato. Continuiamo a fissarci e intanto il bar s'avvicina. Con uno scatto da centista scarto due che fumano e che parlottano e infilo l'entrata del bar. Sono prima e lei seconda. Mi guadagno la cassa avanzando tra i tavolini stracolmi di gente che fa colazione. Ordino il caffè. Ma prendere un caffè al bar nelle ore di punta è più arduo che fare il record di aderenza migliorata battendo maiorca e jacquesmaiòl insieme. Il bancone di solito è occupato da frotte di gente che, incoscienti di quello che avviene alle loro spalle, continuano a chiacchierare del più e della roma finchè non han bevuto l'ultima goccia di cappuccino, spazzolato l'ultima briciola di cornetto e dato anche una sbirciatina nel piattino delle mance per vederne l'entità. Io mi incavolo al bar. Sempre. Primo perché sono una persona educata e invece vorrei essere un'ignorante di periferia di quelli che ti fucilano con un sguardo, che sbraitano, urlano, sgomitano e stanno sempre e comunque davanti. Secondo perché ho una voce esile esile e di solito il barista non mi sente anche perché sto ancora parcheggiata in quinta fila dietro a quelle vecchine sorde dai capelli azzurrini che mi spiegassero che ci fanno al bar alle otto e mezza, ai garagisti con la tuta da meccanico e le mani unte di grasso e dietro pure quelle quattro finte lavoratrici ministeriali che al bar ci pernottano pure e ci arrotondano la vita e il punto vita. C'è chi mi spintona di qua e chi di lá. E io non vedo altro che fauci spalancate e occhi goduriosi che gustano finte prelibatezze ignorando gli altri e ció che ne consegue. In quel momento li odio. Li odio tutti. E gli auguro che quelle leccornie gli vadano di traverso e che il cappuccino gli faccia salire cosí tanto i trigliceridi da rovinare loro e le loro prossime generazioni. Riflettendo sulla figura dei dietologi e sulla loro inutilitá in certi frangenti, noto che il barista mi ha degnato di uno sguardo. Urlo. Urlo anche se odio urlare e mi sento violentata in quel momento. Ma il barista notoriamente sordo e distratto non capisce. La gente incurante continua a spalancare fauci. A inghiottire cibo che sembra non mangi da un'eternitá. Guadagno metri come nel football americano. Tra gomitate riesco persino ad arrivare al bancone. Touch down! S'è fatta quasi la mezza. Che dici, ordino anche un panino?

Wednesday, September 15, 2004

Che ci faccio qui, disse quel tale.

Ho ricevuto delle e mail che mi dicono che scrivo poco. Clara insiste perché scriva qui sul blog. Anzi in questi giorni mi sta corteggiando alla grande con panini e cocacole perché io la nomini: ha infatti annunciato a "popolo e comune" di amatrice che c'è un blog aperto solo per lei con tutte le sue battute che poi in realtà son le mie.
Ma io sto in crisi. In crisi di parole. In crisi con me stessa e con il lavoro che faccio. In crisi con quello che sono. Sforzati, dicono. Come se si trattasse di mangiare dopo una grande inappetenza, come se si trattasse di salire su una scala pur soffrendo di vertigini, come se si trattasse di uscire a piedi con il temporale, i tuoni e i lampi. Non ho parole. E quelle che ho o che ho avuto mi sembrano inutili. Stupide. Vuote. Sterili. Non ho battute da fare. Non ho racconti finti o veri che siano. Non ho niente dentro e questo è quello che risuona e che rimbomba come un boato: non sentire niente. Non sentire niente per nessuno. Non sentire caldo, freddo, fame o sonno, gioia o dolore. Non avere sensazioni. Non avere speranze. Accettare la vita, così come viene. Non riconoscersi in nessun posto e non riconoscere nessun posto. Chi mi vede in foto, mi dice che sembro un'indiana. Se vado in tunisia mi chiamano araba. E se vado in sardegna mi scambiano per una sarda. Dicono che ho certi gesti di mio padre. Ma il carattere di mia madre. L'intelligenza di mia nonna. La mentalità manageriale di mio nonno. I difetti di mio zio. E la scaltrezza di chi non so bene. Mi guardo allo specchio e vedo tutti. Tutti dentro. Ma non vedo chi sono. Che voglio. Non vedo niente che un agglomerato di gente che mi affolla l'anima e mi tira da una parte e dall'altra. Chi sono io? Sono preda degli umori senza trovare una stabilità. Sono preda delle paure anche le più stupide. Delle angosce. Delle gelosie. Devo migliorarmi e vorrei migliorarmi ma più mi sforzo e più affondo nel baratro dell'essere comune. Uguale a tutti pur essendo diversa. Poi capita che mi stufo anche a leggermi così. E la finisco qui. Clara sarà delusa. I cittadini di amatrice pure. Se ne faranno una ragione. Come per tutto e per tutti.

Tuesday, September 07, 2004

Il giubbotto.

E chi ci avrebbe mai creduto. Ho imparato tardi a guidare la moto e tra l'altro non sono neanche 'sto grande pilota. Quando mi voglio prendere in giro dico che faccio le curve sul cavalletto. Mi piacciono le due ruote ma a dovuta distanza: sará colpa della luna in vergine che da buona pigra ama le comoditá e la sicurezza. Sto trattando in questi giorni sul prezzo di un giubbotto di pelle usato. Nuovo no, a causa delle finanze post vacanziere. Ne ho provato uno, l'altro giorno. La ragazza, gentile e molto fiduciosa, mi ha detto di indossarlo con la moto per vedere se aderiva bene. Lei chissá di quali prodezze ha pensato fossi capace. Ho indossato il giubbotto nero rosso e bianco con protezioni da vero bikers e ho acceso la moto che, ringalluzzita da tale magnificenza e probabilmente non riconoscendomi cosí bardata, s'è impennata tutta. Impaurita ma con molta dignitá ho girato di corsa la chiave per spegnerla. Mio dio! come si permette, ho detto tra me e me. Andare su una ruota, io che ho paura anche delle due ruote. Ho riprovato ad accendere con molta circospezione e tenendo il piede sul freno e la mano sulla frizione. S'è accesa senza impennate; ho provato ad ingranare la prima e a dare un gas leggero come se l'episodio di prima non m'avesse neanche toccato. Ho fatto un bel sorriso alla ragazza del giubbotto che mi guardava tutta speranzosa di vedere chissà cosa. Un rombo enorme e sinistro è uscito dal motore. Uno stridío di gomme e una partenza che allo starter del gran premio di occhenaim avrei lasciato dietro rossi, biaggi e anche maicol felps. Per fortuna che all'incrocio con la piazza non passava nessuno. Subito il motore è salito su di giri. Ho girato a destra verso il Palladium e ho toccato col ginocchio per terra tanto che mi son giocata i pantaloni buoni della prima comunione. In pochi secondi ero a cento, centodieci, centoventi, centotrenta sulla salita vicino l'ospedale. Ho pensato: vabbé, perlomeno il pronto soccorso è vicino. Poi ho chiuso gli occhi come se la cosa non mi riguardasse piú. Altra curva in discesa stavolta, altro ginocchio buono partito. La moto continuava ad andare come posseduta. Al primo giro della garbatella ho battuto tutti sul tempo e ho visto clara al bar sventolare qualcosa di simile a un paio di mutande a puá da uomo. Al secondo giro, ho preceduto una cinquecento rossa truccata e una bmw della polizia che inseguiva due extracomunitari neri su una vespa argentata. Al terzo giro si è formato un capannello di gente con le classiche trombette da stadio e con striscioni e cartelli che data la velocitá e la miopia non sono riuscita a leggere. Poi, all'angolo tra la piazza e il parrucchiere di roberta è finita la benzina. Appiedata e un po' sconvolta ho riportato la moto al suo posto. Mi sono tolta di corsa il giubbotto di pelle nero rosso e bianco con protezioni da vero bikers e l'ho restituito alla ragazza mettendole come scusa che con la velocitá si gonfia troppo. Credo che per quest'inverno potrei ritirar fuori dall'armadio quel vecchio spolverino grigio finto militare. Mi va un po' corto di braccia, ma almeno non m'ha mai fatto brutti scherzi!

Moglie e buoi dei paesi tuoi.

Gente strana quella che va in vacanza. O forse sono solo strana io. Siamo partiti in sei, quest'anno. Ho pensato che un po' di sano svago e di riposo mi avrebbero fatto bene. La casa era piuttosto isolata e fuori il paese, senza schiamazzi e molto tranquilla. Siamo arrivati tutti stanchi, quasi distrutti dal viaggio in moto quindi non ho badato al fatto che per la prima sera andassimo a letto quasi al tramonto. Ho dato la colpa alla stanchezza, mica ad altro. La prima mattina ho aperto gli occhi svegliata da un gran botto. S'era chiusa la porta del bagno vicino la mia camera. Ho guardato l'ora: le otto meno dieci. Credo di aver imprecato. Si, ho imprecato e di brutto. Prima ho pensato che qualcuno fosse andato semplicemente in bagno. Ma poi un odore di caffè m'ha invaso di colpo le narici e come il cane di Pavlov ho spalancato gli occhi cercando di capire chi maledetto s'aggirasse per la casa a quell'ora indecente. Esco dalla stanza e trovo la sorpresa. Erano tutti in piedi indaffarati e giá pronti in costume. Ero contenta di essere in vacanza, cosí la situazione non mi è pesata piú di tanto. O forse avevo solo la luna buona quella che calma anche le belve piú feroci. Parlavano tutti e tutti insieme: parlavano delle spiagge da visitare, del giro in barca da fare, parlavano di cibo per il pranzo, parlavano addirittura dei programmi per il giorno dopo e della cena per la sera e della spesa e del porceddu che va assolutamente assaggiato e della seadas che è buonissima col mirto. Ho fatto finta di niente, ho pensato che fossero solo entusiasti per quel viaggio cosí avventuroso. Il secondo giorno stessa storia. Rumore dello sciacquone alle sette e un quarto stavolta. Esco dalla stanza e c'era già chi preparava panini con avanzi di spezzatino della sera prima e l'insalata. Ho pensato alla pazzia criminale. Non la mia, naturalmente. Ho dato la colpa ai bioritmi e dentro di me ho scusato tutti dicendo che forse per ambientarsi ci vogliono un po' di giorni. Il quarto giorno erano le sei e mezza e c'era giá gente in piedi. Avevano preso i cornetti, che cari! Non li ho mangiati, ovviamente, visto che col primo rutto di caffè di solito mi vien su la cena della sera prima e se sono sfortunata anche il pranzo di due giorni prima. Il quinto giorno, un silenzio strano. Esco dalla stanza e rimango lí allibita e intontita con i miei calzoncini rossi da giocatore di basket e la maglietta bucata UsaforAfrica. Erano giá tutti pronti per la gita in barca, chi con le pinne, chi con la maschera per i fondali marini, chi con i braccioli e la ciambella perché non sa nuotare, chi con l'olio solare al cocco che di prima mattina non lo auguro neanche a bin laden. Ho pensato alla follia quella vera, non la mia neanche stavolta. Ho pensato che cerchiamo la pace tutto l'anno e poi facciamo di tutto per non trovarla. Ho pensato che sto invecchiando e che l'anno prossimo mi chiuderó su una montagna a fare il "romito" come dice Eduardo. Gente strana quella che va in vacanza. L'ultimo giorno ho messo la sveglia alle tre e cinque. Per non lasciare roba in frigo ho fatto una specie di frittata con tutto quello che c'era: otto uova vecchie, una cipolla tutta ingiallita che non odorava neanche più, tre funghi sciampignón, due ravanelli, tre olive con noccíolo e anche cinque wurstell di pollo. Ho pulito tutta casa e ho preparato le valigie di tutti. Per accontentare il mio marte in scorpione in cerca di vendetta immediata li ho svegliati alle quattro e tre quarti e siamo arrivati alla nave sette ore prima, che ancora albeggiava. Non vedevo l'ora di tornarmene a casa. Per riposarmi, ovviamente.

Thursday, August 19, 2004

Grazie Lisbeth!


Peccato per i fiori che appassiscono in luogo solitario senza che nessuno
ne abbia mai conosciuto colore e profumo.
Peccato per le perle che giacciono in fondo al mare e per i sentimenti
che la giovinezza dissipa.
Peccato per i sogni che si struggono nel tempo, per le offerte che
non sono gradite.
Peccato per i desideri che sono rimasti insoddisfatti, per i canti che non
hanno chi li ascolta.
Peccato per il coraggio che non giunge a un cimento.
Peccato per i cuori che non trovano sostegno.
A. Asnyk

A te
Mariemarion e a te Pupa offro questo bellissimo passo di Adam Asnyk poeta polacco del 1800 cantore del cosmo e del creato.

A settembre mi tocca tatuarmi un domatore.

Vado al mare e poiché è la prima volta cerco di andarci nelle prime ore del mattino visto che sono bianca immacolata e quasi catarifrangente. Mi spoglio e m'assale una leggera brezza che rende il caldo sopportabile, anzi quasi piacevole tanto che non m'accorgo che sto per cuocermi a puntino. Mi sdraio sull'asciugamano bianco che se non fosse per il costume rosa farei "pandant". Passa mezz'ora e sento una gran botta. Qualcosa m'aggredisce la gamba. Di soprassalto alzo lo sguardo e penso a un insetto, ma non vedo niente. Poi di nuovo uno scossone al polpaccio. M'alzo come una pazza e vedo il drago. Il drago che ho tatuato s'è ribellato alla calura. Mi scappa dalla gamba e mi tocca rincorrerlo per tutta la spiaggia. Con quello che è costato, non posso farmelo scappare. Che scena, mi hanno detto, sembravo rocky che rincorre la gallina. Sto correndo come una matta a destra e a sinistra e mi scappa anche la tigre dall'avambraccio. Dice che ci pensa lei a riprendere il drago. Giá immagino la scena del mio povero drago nelle fauci della tigre quando i delfini mi strattonano e mi tirano verso l'acqua. Cerco di correre in direzione opposta ma niente, quelli spingono sulla caviglia e debbo dire nell'acqua alta ho fatto la mia porca figura. Tra una pinnata e l'altra vedo che dalla spiaggia scappano tutti. Il drago sta sprigionando fiamme alte e rosse. La tigre sta attaccando un cane di un cieco che faceva il bagno. Anche i gechi di Escher che avevo sul collo del piede se ne sono andati: sono sotto un ombrellone con una coppia di svedesi e giocano a tresette vincendo pure tra l'altro. Intanto io continuo a delfinare come maicol felps. E sulla battigia c'è il putiferio: la tigre ha sbranato tre persone. Il bagnino ha chiamato i pompieri ché il mio drago ha bruciato tutti i capanni e una parte delle cabine. Riesco a calmare i delfini ed esco dall'acqua. Un dolore atroce mi colpisce la spalla. Il pegaso sta scalciando. Neanche poggio lo sguardo che quello mi sfugge. Con un gesto repentino lo blocco e gli monto in sella. Cavalco verso il drago e riacciuffo anche la tigre. Offro la rosa tatuata al drago che la brucia con una fiammata e placo i delfini. Richiamo all'ordine tutti i gechi e riesco anche a riprendermi la coccinella che s'era posata sulla spalla di un marocchino che vendeva bandane e ciddí. Chi manca all'appello? Il sole del polpaccio destro: lo ritrovo sotto l'ombrellone dell'ingegnere che fa compagnia al Sole24ore fresco di stampa. Riacciuffo pure quello. Preparo la sacca. Me ne vado piú di corsa che di fretta visto che giá mi vogliono far pagare tutti i danni. La sera li ho puniti tutti: a letto senza cena, ho detto loro con molta fermezza. Solo la tigre ha mangiato. Quella ancora mi intimorisce. Ma io non glielo dico.

Saturday, August 14, 2004

CSI scena del crimine. Puntata pilota.

Non so neanche che ora fosse. L'una le due le tre. Ho sentito un gran rumore fuori e aprendo gli occhi ho visto la mia camera illuminata a giorno da un faro. Eccoli, ho pensato tutta insonnolita. Gli extraterrestri sono venuti a predermi per farmi fare un giro nell'universo e nei suoi dintorni. Piombo giú dal letto e infilo due cose al volo nella sacca, quella buona dei viaggi importanti. Porto anche la macchinetta digitale: hai visto mai che posso vendermi le foto a novella duemila e diventarci pure famosa. Col fiatone e un po' di nostalgia apro la serranda. Luci stroboscopiche blu che volteggiano nell'aria m'accecano all'istante. Un faro è puntato sul mio palazzo e credo m'abbia fatto anche un rx al torace e alla dentatura tutta. Un sacco di gente é in pigiama. I ragazzini sono mezzi addormentati. Er marana é col pitbull cattivo al seguito. E mandingo con la maglietta nuova nuova della rizla. Rinsavisco e con tutta la razionalitá che si puó avere nel pieno della notte dopo essere stati svegliati di soprassalto capisco che gli extraterrestri avevano qualche altro impegno e che c'è ben altro nell'aria. Mi sporgo meglio e m'accorgo che due finestre piú in lá esce un fumo nero disgustoso e puzzolente. M'allarmo per un secondo. Penso che il palazzo possa esplodere da un momento all'altro. Ma la pigrizia di vestirmi mi blocca. Tanto ci sono i vigili del fuoco che hanno giá domato l'incendio. Guardo meglio e vedo un sacco di guardie con la pistola in mano. Gente spaventata. Tutti che parlottano. Uno che urla. Il matto, dicono. Era depresso, dice Anna la trasteverina. Ha dato fuoco a tutto. Ma l`hanno salvato. Cerco tra la folla di gente di vedere se c'é Grissom e la sua squadra che son venuti ad analizzare la scena del crimine. Niente. Solo un'autoambulanza che continua a far girare quella luce che illumina ora l'albero selvatico di pesche, ora la jeep del calabrese, ora l'abete mezzo sbilenco, ora la mia faccia affacciata alla finestra. Quando illumina me, sorrido e faccio ciao ciao con la manina. Forse c'è anche canale cinque e qualcuno potrebbe vedermi in televisione. Intanto le guardie immobilizzano l'incendiario dopo non so quanto tempo e quante urla. Lo sedano, credo. Lo portano via in barella. Poi l'autoambulanza con la sua luce blu se ne va via. A poco a poco s'allontanano tutti. Come allo stadio la domenica, come alla fine di un concerto, come dopo un pranzo di matrimonio. Ognuno con la sua versione da raccontare: chi ha chiamato per primo i pompieri. Chi ha visto per primo le fiamme. Chi è sceso per primo giú in strada. Chi ha aiutato le guardie nella cattura. Del depresso non parla nessuno. Come non se ne parlava prima, del resto.

Wednesday, August 11, 2004

Solo con tutti. C.B.

La carne copre le ossa
e ci mettono dentro
una mente e
qualche volta un'anima
e le donne spaccano
i vasi contro i muri
e gli uomini bevono troppo
e nessuno trova quello
giusto
ma continuano a cercare.

non c'è nessuna
possibilitá:
siamo tutti intrappolati
in un destino
singolare.

Nessuno trova mai
quello giusto.
gli immondezzai della cittá sono pieni
i robivecchi sono pieni
i manicomi sono pieni
gli ospedali pieni
i cimiteri pieni

nient'altro
si riempie.

Wednesday, August 04, 2004

Matrioska.

Compongo il numero. "Benvenuto nel nuovo servizio abbonati. Il servizio è disponibile dal lunedi al venerdi dalle 11 alle 13 e dalle 14 alle 19.30. Se è un cliente Tal de' Tali la chiamata è gratuita. Se è un cliente aziendale digiti 1, se chiama da rete fissa digiti 2, se è un cliente residenziale digiti 3 ".
Col cervello in fase di liquefazione come il sangue nell'ampolletta di San Gennaro, spingo 1 e attendo. Ricomincia la solfa: "Se desidera trasmetterci dei dati digiti 1, se desidera fare richiesta dati digiti 2, se desidera il dettaglio chiamate digiti 3, se desidera parlare con un operatore digiti 4".
Alla parola operatore, mi brillano gli occhi neanche alla vista di Padre Pio che fa il miracolo.
"Quella" ricomincia: "Se desidera sospendere il servizio, digiti 1; se desidera fissare un appuntamento digiti 2, se desidera altre informazioni digiti 3".
Completamente imbambolata sul da farsi, spingo il 3: "Se desidera parlare con un operatore per chiedere informazioni digiti 1, se desidera parlare con un operatore per invitarlo a cena digiti 2, se desidera parlare con un operatore per sfogarsi dei suoi problemi digiti 3, se desidera solo un operatore digiti 4".
Mi butto alla cieca e spingo 1: "Se è un cliente abbonato da più di tre anni digiti 1, se è un cliente che deve abbonarsi digiti 2, se è un cliente del dottor Galano digiti 3".
Facendo mente locale sul nome del mio medico di base, spingo 1 e attendo: "Se desidera avere un prestito a interessi zero da non restituire mai cambi spacciatore, se desidera fare tredici al lotto vada a Lourdes, se desidera andare in vacanza gratis a costi zero e senza passare dal via c'è un Cim poco lontano da casa sua".
Esterrefatta, metto giù la cornetta e impreco. Squilla il telefono e rispondo. E' l'operatore che mi invita a cena. Accetto. Ma paga lui.

Cronache dal di qui.

Siamo tutti più poveri quest'anno. La città ancora non s'è svuotata come al solito. Sarà per la luna in vergine che sta sempre lì a fare i conti della serva, ma mi sembra che siano ancora tutti ai loro posti di lavoro. Qui e in giro non ha ancora chiuso nessuno. Il raccordo, sera e mattina, è strapieno di macchine come nel resto dell'anno. A parte i politici tutti abbronzati e curati e i giocatori che affollano i bilionaire vari, mi chiedo chi sia andato già in ferie quest'anno. Vedo un sacco di gente che stringe la cinghia così forte che stenta a respirare. Ma Lui, malgrado gli sghignazzi del resto del mondo, ci dice che va tutto bene. Che siamo in ripresa. Che siamo ai livelli degli altri. Non mi sembra. Io sono ancora qui malgrado ieri sera fossi invitata al compleanno di Charlotte di Monaco. Clara è ancora aperta malgrado la cena dai Conti Vanzetti. Franco l'alimentari vende pane a file lunghissime di persone. Anche Pio il ciabattino è al suo posto di comando risuolando e ribattendo tacchi e suole. Non parliamo di Diego il fabbro che malgrado due bimbi sta ancora aspettando l'incentivo governativo sul secondo figliolo nato da poco. Ma Lui ci dice che va tutto bene. Che siamo in netta ripresa. Che siamo ai livelli degli altri. Le auto però affollano ancora tutti i parcheggi. L'università brulica di ragazzi. Via del corso è intasata come nei giorni natalizi e i negozianti sono tutti lì a sfruttare anche l'ultimo minuto per racimolare due lire in euro. Sono aperti solarium e centri estetici. Dai tiggì si vede Ostia piena di file chilometriche che neanche fosse la Costiera amalfitana. Ma Lui ci dice che va tutto bene. Che siamo in netta ripresa. Che siamo ai livelli degli altri. Accontentiamoci di quello che dice Lui. Forse parla della nostra ricchezza interiore. E poi non specifica bene chi siano gli altri ai cui livelli siamo in pari. Forse l'Argentina? Sarà, ma tutta 'sta gente che non parte alla fin fine fa pure compagnia. Ci ritroviamo tutti al bar a sognare terre lontane e a lamentarci del governo ladro, dell'iva e dell'inps e che l'euro ci ha rovinati a tutti e che il Lupo l'hanno ammazzato come un cane e che a Cogne c'è un matto in pigiama taglia extra-small che ammazza bambini per dar la colpa alla Franzoni. Ma tanto Lui ci dice che va tutto bene. Che siamo in netta ripresa. Che siamo ai livelli degli altri. E noi facciam finta di credergli tra una risata e l'altra, una stretta di cinghia e una pacca sulla spalla. Siamo ricchi dentro, noi. Chissà che non ci tassino pure lì!

Monday, August 02, 2004

Ritratto di famiglia.

E' caduto un passerotto dall'albero, ieri mattina. L'ho visto là tutto solo nella radura in preda a quei gattacci randagi che scartano il salame e la mortadella ma adorano uccelli e merli. Son scesa quasi in mutande stravolta e con le cioce che quasi inciampavo. Per difenderlo da me s'è fatta sotto tutta la famiglia dei suoi parenti al gran completo: padre con ringhio fischiettante, madre dal piumaggio argentato, lo zio cieco e la nonna che viene da una famiglia di passeri per bene. Ma io non volevo fargli del male, ho cercato di spiegar loro. L'ho portato a casa. Mi guardava con quel certo non so che. Chissà che voleva. Fermo non ci stava così l'ho messo in una scatola. Non si fermava neanche lì: eppure era una scatola Nike, mica cotica. Certo è che sull'albero di fronte alle mie finestre non ce lo potevo rimettere. Non sapendo che fare l'ho adagiato su un vaso di citronella contro le zanzare sul davanzale. Sono andata a mettermi le scarpe e i calzoni chè avevo paura si sarebbe buttato di nuovo di sotto. Non mi andava si scendere ancora in desabiglè! Son tornata in cucina e ho fatto un balzo degno di carl lewis prima maniera. Tutti i passeri del vicinato avevano invaso la casa. Lo zio cieco si stava facendo due uova in cucina. Al bacon, mi ha detto. Soffre d'anemia. La madre, scocciata, mi ha fischiettato qualcosa non so in che lingua. Per rispetto li ho lasciati soli. Per tutto il pomeriggio son dovuta stare relegata in camera. Ho letto quasi tutto bukowski e già che c'ero ho scritto le mie memorie. Ho stirato sette camicie. E ho lavato anche il bagno. Distrutta mi sono diretta in cucina verso le otto per prepararmi un boccone. Loro avevano già apparecchiato. Il piccoletto era sul suo seggiolone. La nonna cuciva non so che tutina di lana. Lo zio cieco era sempre alle prese con le sue due uova. Al bacon. Svolazzavano per tutta casa. Liberi come se fossero in cielo aperto. Mi sono sentita di troppo. Sono uscita. E li ho sentiti sghignazzare felici appena chiusa la porta. Ho girato tutta roma più volte. Chissà a che ora dormono i passeri, mi son detta. Verso le due, stravolta e senza cena, ho messo la chiave nella toppa. Silenzio. Entro e vengo invasa da un odore di sigaro cubano. In salone c'erano dieci passerotti, cinque intorno al tavolo che giocavano a poker. Lo zio cieco stava vincendo. Mi sono unita a loro. La posta era abbastanza alta. La nonna, grande giocatrice, ha rilanciato. Non avevo granchè, in mano. Cip, ho detto io. Ho perso. Ma lo zio cieco barava. Credo.

Tuesday, July 27, 2004

Attenti al lupo.

Camminavo lilla lalla con la moto quando due in divisa mi fanno accostare. Documenti, prego. Non li avevo, come al solito. Non li porto mai con me, tanto che se mi succede qualcosa mi devono riconoscere dagli innumerevoli tatuaggi. Il libretto, prego, insistono loro. Non ho neanche quello. Mi danno una rapida occhiata. E chiamano la centrale o non so chi, forse la moglie o l'amante di uno dei due. Conosce il Lupo, dice uno di loro. Mo' chi è 'sto lupo, penso tra me e me. Lei dov'era tra le quattro e le cinque del 24 luglio? E tra le due e le tre del 21 luglio? Rispondo che non mi ricordo e che non so chi sia 'sto lupo. Intanto uno dei due ferma anche una vecchina ultraottantenne con l'apparecchio acustico nell'orecchio destro e scarpe ortopediche. Anche per la vecchina solita trafila. Documenti prego. Conosce il Lupo? Dov'era tra le quattro e le cinque del 24 luglio? E tra le due e le tre del 21 luglio? Vedo che la vecchia se la cava meglio di me. Il Lupo, dicono loro a bassa voce, non è lei. Rimangono i sospetti su di me che sono in moto e senza documenti. Dico loro che sono una ragazza. Loro non ci credono. Il Lupo ne sa una più del diavolo in quanto a travestimenti, rispondono loro. La vecchina riparte a gran velocità. Saranno le scarpe ortopediche? Io rimango lì ammirata. Arriva una chiamata. Hanno avvistato il Lupo nella campagna romana. Mi lasciano andare. Sì, effettivamente lei è una ragazza, dicono loro. Mi danno i soliti ammonimenti di rito. Riparto in prima che la moto salticchia pure. Non ci ho preso la mano, ancora. Sento ululare. Sarà la vecchina?




Friday, July 23, 2004

Riveduto e corretto. Visto si stampi.

Sabato sono andata a fare shopping chè non avevo più niente da mettermi. Mi son buttata giù dal letto prestissimo e ho dato appuntamento a Carlotta all'edicola all'angolo dove subito subito ho acquistato un bel paio di infradito firmate parah regalo di Max. Ho mollato le mie scarpe vecchie e spuzzolose vicino al cassonetto del vetro che s'è pure avvicinato un barbone e m'ha guardato male. Con Gioia regalavano il pareo azzurro e con Gente la magliettina a costine che volevo già da tanto. Ho comprato pure Novella 2000 perché regalava il materassino a pois e ci posso fare il bagno al largo come chi ha la barca e con Donna Moderna ho finalmente trovato quel bel borsone finto militare che mi servirà per andare ad Ornano Grande a ferragosto alla sagra dei fagioli e le costarelle. Il costume? Era in omaggio sia con Oggi che con Eva Tremila. Ho scelto quello di Oggi chè è meno scosciato e mi ci sento più a mio agio. Con Sorrisi e Canzoni ho comprato i racchettoni per giocare sulla spiaggia ma la pallina la davano in regalo con CentoCose e così ho comprato pure quello. Famiglia Cristiana mi ha dato in omaggio un bel paio di occhiali da sole di quelli con lenti sessuo-fobiche che quando li metti vedi pure la Madonnina piangere. Per finire ho comprato Cosmopolitan per quel bel paio di braccioli colorati che li posso regalare a Patrick visto che arriva pure il suo compleanno. Solo una cosa mi lascia perplessa: ma col pignone zincato che regalava InSella che ci faccio?

Wednesday, July 21, 2004

Sarà stato il Cogn-ato?

Quando la sera in tivvù non fanno niente, dopo le nove ci incontriamo tutti alla cabina per passare qualche ora al fresco. C'è Patrizia con il figlio al guinzaglio e il cane nel passeggino, c'è Mauretto il venditore ambulante, c'è Mauro il ladrone, Antonio che la madre fa le pulizie e Claudio che lavora nei bagni del metrò, Vittorio che fa il barista e Katia che lavora da ikea. Ogni tanto passa in macchina a cento all'ora Er marana che alza un venticello niente male e noi per un po' "rifiatiamo". La moda di questi giorni alla cabina è quella delle scommesse. Scommettiamo su tutto ma non sul calcio che è già una scommessa vincere. Riguardo la Franzoni come quotazioni diamo la Franzoni come assassina uno a dieci. Cinque a cinque che è stato il marito. Sette a dieci che è stata l'amica psicologa. Sei a uno che è stato il il figlioletto piccolo. Dieci a uno che si è trattato di suicidio. Ora alla cabina aspettiamo che Taormina ci "illumini" con nuove rivelazioni. Patrizia, che per un periodo ha "frequentato" un avvocato di settantotto anni con il mal di cuore, ha detto che non è da escludere che potrebbero esseri stati anche Erika o Omar durante l'ora d'aria. Io ho puntato dieci euro sul maggiordomo. Lo sanno anche i sassi che i maggiordomi di solito se ne vanno in giro per Cogne con i zoccoli e il pigiama della Franzoni!



Monday, July 19, 2004

L'omino delle serrande s'è fatto l'aiutante.

Il più delle volte mi sento inadeguata. Sento che non appartengo a nessun posto. Se mi guardo da fuori mi vedo strana. Persino stupida con le mie battute. Financo immatura. Non ho una buona visione di me anche se inforco gli occhiali da vista. Eppure non sembra: mi mostro spavalda per non sembrare impaurita. A volte combattiva per non mostrare il fianco. Spesso simpatica per non lasciarmi intravedere dentro. Contenta anche se dentro piango. Forte anche se ho paura. Positiva anche se vedo il nero tetro senza neanche una sfumatura. E' una lotta continua tra l' essere e l' apparire. E per non pesare in giro cerco sempre di apparire e poco di essere. E' difficile farsi accettare. Ancor di più accettarsi per chi ha amor proprio. Facendo un sunto, non ho un buon rapporto con me stessa. Anzi, direi che mi parlo e mi rispondo a giorni alterni. In certi giorni, come oggi, mi ignoro. Mi vesto senza chiedermi il parere. Non mi guardo neanche allo specchio. E se butto l' occhio allo specchio che ho qui davanti al pc, non mi saluto neppure. Non è facile sopportarsi: la convivenza dentro se stessi a volte è difficile. Tutti che parlano e nessuno che dice le cose come stanno. A volte vorrei uscirmene dal corpo e chiudere le imposte dell' anima e della mente. Andarmene in giro senza meta. Vagare nell' aria senza una ragione precisa. Fluttuare come un pesce. Ma il pesce fluttua? Mi sento inadeguata e anche ignorante. Lo so, è un post un po' strano. Chi gli va lo legga. Chi non gli va, no. Non fa un piega!



Thursday, July 15, 2004

E' proprio vero: la gente "portano" jella!

"Salve...buonasera chiamo per l'annuncio su portaportese..."
"Quale annuncio, scusi?"
"Quello per il Monster. È venduto?"
"No..."
"Di che anno è? Quanti chilometri ha fatto? Che colore è? Sei unico proprietario? Si può vedere?"(domando a raffica senza prendere neanche fiato visto che chiamo su un cellulare)
"Va bene per te domani mattina? io sto dalle parti di...ok allora alle dieci!".
"Grazie ciao"
"Ciao".

Non dormo la notte. Vado all'appuntamento. Mi vesto anche bene per l'occasione: ho messo su anche la cravatta. Giro la curva e lo vedo. Bello. Nero. Già da lontano sentivo la sua vocina che mi chiamava: "Pupaaaa...sono qui...compramiiii!"
Parlo col tizio. Uno importante, tra l'altro. Il monster era di una ragazza di padova. Lui ci ha viaggiato pochissimo. Dò un'occhiata alla meno peggio chè io di motori non so neanche dove va l'olio per friggere. Però mi dò un tono da futura motociclista. Lo accende e il cuore comincia a palpitarmi, le orecchie si ringalluzziscono tutte come quando sentono il dolce richiamo di Clara, la barista. Non m'importa più di niente, in quel momento. Il prezzo è buono. Non m'importa neanche che non ho soldi e che devo ancora vendere lo scooter. Penso tra me: lo compro. Dico a lui: io lo comprerei. Serve un acconto, gli chiedo. "Ma no, mi dice convinto, a me basta anche una stretta di mano. Come si faceva un tempo. Io ho una sola parola!"
Mi convince. Me ne vado e non faccio altro che pensare a quel rumore nelle mie orecchie.
Mi comincio a muovere: m'informo del passaggio di proprietà, trovo compratori per lo scooter, mi faccio fare preventivi da tutte le compagnie assicurative d'italia e provincia. Sto per vendere lo scooter. E mi chiama lui. Penso che mi debba dare un appuntamento per l'indomani. No, mi vuol solo comunicare che ha venduto la mia moto. Mi dice che ha chiamato per correttezza.

Reazioni.

Reazione da marte in scorpione: la prossima volta con la stretta di mano, impiccatici!
Reazione da lacrima di coccodrillo: mamma aveva ragione. Non dovevo dirlo in giro chè qui la gente "portano" tutti jella!
Reazione da pensiero positivo: meglio così, si vede che non doveva andare.
Reazione da chi ci ripensa come i "cornuti": era meglio che gli davo cento euro.
Reazione da luogo comune: non ci sono più le strette di mano di una volta come non ci sono più le mezze stagioni e i cibi hanno tutto un altro sapore.

A.A.A. Cercasi Ducati Monster 600. Prezzo da concordare. Esclusi perditempo e strette di mano.

Sunday, July 11, 2004

Poi dice che l'acquario é bugiardo.

Ho un'amica. Quando esco con lei e con altre persone, non so mai come devo comportarmi. Mi fa il lavaggio del cervello senza neanche l'ammorbidente e comincia una storia lunga una quaresima: se c'è Matteo, ricordati che io sto con Luca. Se c'è Luca ricordati che io non lavoro dove lavoro ma dove tu sai. Se c'è Linda ricordati che io non sto piú con Matteo e neanche piú con Luca. Se c'è Alfredo ricordati di dirgli che io non parlo piú con Linda. Se c'è Francesco io non ho l'etá che ho ma cinque anni di meno. Insomma cerco sempre di evitare le uscite con lei anche perché in quanto a gaffes non ne risparmio mai una. Pochi giorni fa la mia amica ha fatto una cena per il suo compleanno. Una dramma. Per prepararmi adeguatamente ha cominciato a darmi ripetizioni circa la sua vita giá da natale. Sono andata alla sua festa con gli appunti scritti anche sulle mani e mi ripetevo: dunque Matteo non sta piú con Luca, Linda non lavora dove lavora lei, Alfredo è morto, Francesco s'è fatto frate e la mia amica? Non mi andava di farle fare brutta figura e cosí sono stata zitta tutta la sera ché tra l'altro poi io le feste le odio pure. Mi sono messa in un angoletto e ripassavo a mente, sbirciando ogni tanto gli appunti sulle mani. Non s'è avvicinato nessuno. Hanno creduto che fossi snob o apatica, non so. Solo sul finire della festa, s'è avvicinato Matteo e mi ha chiesto da quanto conoscessi la mia amica. "Quale amica, scusa?", ho risposto senza esitazioni.

Friday, July 09, 2004

C'è un dottore in sala?

Quando ho aperto l'attività, cinque anni fa circa, passavo le giornate guardando il telefono. Sembravo uno di quegli attorucoli americani che han fatto l'audizione e passano il tempo chiusi in casa aspettando una chiamata. Il primo squillo, ancora lo ricordo, mi ha provocato un sussulto con battiti bel oltre i cento e sudori freddi. Non mi andava di rispondere subito, cosi' ho lasciato squillare. Una, due, tre volte: "Multimedia pubblicità, buongiorno..." ho detto con fare molto professionale.
"Che c'è l'Avvocato Patalaro?". Ho risposto che aveva cambiato numero. Per alcuni mesi le uniche telefonate che ricevevo erano per l'Avvocato Patalaro. Ero frustrata e anche giù di morale. Avevo paura di rispondere. Finchè un giorno necessità fa virtù, chiama una signora per l'avvocato. Stava divorziando, poveretta. E mi ha chiesto un consiglio. Da quel giorno lì ho cominciato ad esercitare a tutti gli effetti. Ho comprato un taglièr grigio fumo di londra e una ventiquattrore di mucca pazza. Ho dibattuto tante cause tra le quali una per l'uccisione di un mulo da soma stressato per il lavoro. Ho difeso anche un albanese sorpreso a rubare fiori sulla tomba della moglie. Credo li portasse all'amante turco. Le parcelle m'hanno fatto campare per un bel po', finchè non son scemate le telefonate. L'avvocato ha avvertito i suoi clienti. Io ho perso tutta la clientela e ho cominciato a fare il mio lavoro, purtroppo. Ricordo quei momenti con nostalgia. L'altro giorno ho risposto al telefono e cercavano un dottore. Ho già comprato lo stetoscopio e l'apparecchio per misurare la pressione. Hai visto mai!

Thursday, July 08, 2004

Non parlate al conducente.

Sono le dieci e mezza e il semaforo è rosso. Sto di fronte all'entrata di cinecittà da dove escono i divi del cinema e i nuovi divi televisivi. S'accosta uno scooter come il mio. Solo che è il modello vecchio. E' buio. Al semaforo ci sono io. Lei sullo scooter. E una twingo gialla ocra con due pakistani col turbante. Dò un'occhiata furtiva alla ragazza. Penso. Poi mi dico "no, non credo voglia tirare!". Sta per scattare il verde. Faccio la vaga e attendo una reazione. Aspetto ancora il verde, ma lei scatta prima. Ah, le donne, non sono mai sportive! Dò gas. Molto gas. La supero. Inizia un tratto che porta al raccordo dove puoi raggiungere belle velocità con cavalcavia, discesa e diramazione a destra per ikea e a sinistra verso il raccordo. Sto davanti alla scooterista con un ghigno da centaura. Sento una voce. Mi distraggo. E' la luna in vergine. E' paurosa di suo, ma come scusa mette il costo della benzina e il consumo delle pasticche dei freni appena rifatti, l'usura del motore, l'olio che con quel che costano oggi i frantoi e mi parla anche di certe azioni della Roma in discesa. "Non le dar retta -tuona il mio ascendente pesci- quella è una vigliacca!" Spingo ancora e vedo i fari che s'avvicinano. La luna in vergine si stizzisce. E si mette col muso. Interviene la venere in ariete. Mi dice di non cedere. Che è meglio che ti corrano dietro piuttosto che sei tu a rincorrere. Saturno le dà ragione. Urano sta su un altro pianeta. Ha il cellulare irrangiungibile. La luna in vergine mi parla di certi suoi problemi psicologici: ha cominciato tutta una storia sull'infanzia negata e non so che altra tiritera. Giove che è un pacioccone la prende sotto braccio e sento che le dice qualcosa. E io intanto spingo ma li sento tutti blaterare. Ognuno sta dicendo la sua. Sul cavalcavia la scooterista intanto mi sorpassa e io non so se accelerare ancora o rispondere a tutte quelle chiacchiere da bar. La luna in vergine tira un sospiro di sollievo. Avverte che sto decelerando. Giove intanto ridanciano e giocherellone è tutto preso dal suo hula hop. Saturno mi ringrazia dicendomi che ormai è troppo vecchio per lo stress. E l'ascendente pesci suscettibile e permaloso si ritira in un indecoroso mutismo. Mi fermo prima della rampa verso il raccordo. Mi devono una spiegazione. Tutti s'accordano per eleggere la luna in vergine a loro portavoce. Cominciamo a discutere animatamente. La venere in ariete mi dice che non ho fegato. E che comunque "quella" (la scooterista) aveva il motore truccato. Si sa, l'ariete non demorde mai e non ci sta a perdere. Marte in scorpione mi dice che se l'è legata al dito e che se la rivede le buca le gomme dello scooter. La luna in vergine mi fa capire con molta diplomazia che non ho più l'età e che a quella velocità può esplodere una ruota o si possono rompere i freni o che può esserci una buca che non vedo. Insomma tutte cose razionali alle quali non ho saputo che rispondere. C'era una pizzeria. Li ho portati tutti a cena fuori. E' finita a tarallucci e vino. Ha pagato la luna in vergine. In qualche modo si doveva far perdonare!

Saturday, July 03, 2004

RobbiNud si rivendeva tutto alla cabina qua all'angolo.

Tre cose facevo bene quando lavoravo come art junior: far rider l'art director, comprargli il pranzo e badare alla cancelleria. Ero uscita da scuola pensando alle grandi campagne pubblicitarie, agli slogan che avevano fatto storia, alle immagini che piú mi avevano colpito. Passavo le giornate costringendo mio padre, mia madre e anche una nostra parente ricca a vedere la Notte dei Pubblivori con tutte le pubblicitá del mondo. Erano i tempi in cui ancora pensavo di cambiare il mondo. Non quello politico ché è pura utopia. Peró quello pubblicitario.
Il mio art director era dell'acquario. Come me. Era una battuta dietro l'altra. Lui rideva ed era contento. Io prendevo lo stipendio. Mi divertivo. Mi voleva sempre accanto. Io seduta al suo fianco mentre lui, sghignazzante dietro il suo schermo quindici pollici di uno dei primi macintosh, impaginava idee dentro immagini e parole dentro slogan. Non mi potevo spostar mica da quella sedia lí. Né potevo dirgli: io 'sta cosa la vedrei bene qui. Per lui bastava che sfornassi battute. Ho fatto strada in quell'agenzia. Son passata di grado il giorno che per puro caso gli ho fatto scoprire l'alimentari. Fin ad allora il mio art director aveva buttato soldi e fegato negli intrugli avariati del bar vicino al portone. Con me che gli portavo il panino ha potuto constatare che risparmiava di grosso. Il fegato non so. Non ha mai saputo che con i suoi soldi prendevo il solito panino con la mortadella per lui accompagnato da acqua liscia e una bella rosetta con il sandaniele per me con cocacola e kinderino incluso. Una volta ho scialato e ci ho fatto uscire il panino anche per Anna la centralista e per Maria la segretaria di un avvocato del secondo piano. Ero frustrata e in qualche modo lui doveva pur pagarla. Contenti di me, lui e il direttore suo coetaneo decisero di promuovermi affidandomi tutto il reparto cancelleria. Una svolta. Sapete cosa vuol dire per me avere sotto il naso colle da sballo, pennarelli a punta grossa, taglierini olfa, attasch, matite dalla zero due alle zero dodici, scatole di carandache, scatole di tutte le gradazioni di stabilo boss, post it gialli, rosa, verdini a quadri, a righine e anche a pois? Un godimento pari all'entrata in pasticceria. Ho cominciato a vendere tutto al mercato nero. Alzavo belle cifre. Meglio dello stipendio tanto che mi comprai il game boy e anche un bel pigiama da ospedale per mia madre. Ero brava. Va riconosciuto. Non ho mai fatto una campagna pubblicitaria né ho mai creato lo slogan che m'avrebbe fatto diventare ricca. Certo è che lí dentro ero la piú creativa, fatevelo dire. Almeno nell'arrotondare.

Tuesday, June 29, 2004

Questa l'ho letta sulla porta del bagno degli uomini sulla Roma Fiumicino.

Che ti devo dire. Quando m'affeziono, io ci tengo alle cose. Ho un paio di calzoni. Della nike. Erano verde militare o giú di lí. Li ho comprati credo quattro o cinque anni fa. Ne ho cercati altri dello stesso tipo. Ma pare che quelli fossero unici. Fatti solo per me. Non ne ho piú trovati in giro. Ho cercato dio sa quanto ma ho trovato solo tute di ogni colore, braghe da mare, calzoni da tennis, ma mai un paio simile per mandare i miei in pensione. Li tengo lí che neanche un figliolo terrei meglio. Fanno divisa. La mia divisa. Chi mi conosce e riesce a frequentarmi per piú di un anno si ricorda piú dei miei calzoni verdi che di me. M'hanno accompagnata estate dopo estate per cinque anni. Hanno sofferto con me e sono stati felici per me. Sono stati al mare. In collina. Forse anche in montagna, ora non ricordo. A trovar mia madre all'ospedale. A trovar mio padre al palaeur. A trovare Angela al cimitero. Hanno venduto con me la mia macchina rossa. E comprato con me il mio scooter fatto a rate. Hanno macinato chilometri. Sono stati sul Gran Sasso e anche a Napoli, in Sardegna e a Tenerife, in Grecia anche sui cammelli nel deserto. Hanno giocato a calcio e a frisbee sotto un sole di quaranta gradi e un po'. I miei calzoni ormai scoloriti hanno fatto preventivi per lavoro. E guadagnato. Han pagato le tasse e pure l'Iva. Navigato dentro a internet e anche fuori di casa. Hanno rubato un pattíno e l'hanno mollato quasi affondato nelle acque del mare di Anzio. Han visto persone passare e persone rimanere. Erano con me quando ho tradito. Erano con me quando sono stata tradita. Erano al concerto di Lorenzo e anche a quello di Renato. Hanno visto amicizie finire. E nascere nuove conoscenze. Sogni svanire e speranze rifiorire.
I miei calzoni si sono comportati sempre bene. Lo debbo ammettere. Se devo affrontare una cena nella quale so che saró a disagio, indosso sempre quei calzoni scoloriti per rassicurarmi. Sono belli i miei calzoni verdi, di un verdone quasi girgio. Con tasche larghe e la chiusura lampo. Hanno una stoffa che mica ne trovi in giro. S'asciuga subito ed è sempre fresca.
I miei calzoni devi dargli del voi. Io stessa devo prenderli con le pinze. E non so mai che succederá. Se non li indosso per qualche giorno, s'offendono. E la sera mi tocca perdere sempre due o tre ore di tempo, prima di cena, per raccontargli tutto quello che mi è successo. A volte mi perdonano. A volte no. Come tutti. Non so di che segno siano. Ma so che ci tengono molto a me. Ci sono cose a cui è bello affezionarsi e ritrovarle nell'armadio anno dopo anno come la coperta di Linus. Quello che non capisco è come mai quando esco e non li indosso, torno a casa e c'é sempre il ventilatore acceso, la tivvú su rete4 e il vasetto della nutella mezzo finito?

Sunday, June 27, 2004

Requiem di periferia.

Erano le nove e un Rex ha tuonato per il quartiere. No. Non era il Requiem, ma Mauro, l'ex ladrone che fa il camionista, che chiamava a gran voce il suo cane sotto le mie finestre. E poi e' intervenuta Rosalba con i suoi quattro cani nani odiosi come lei e poi un certo Franco che chiamava shana, un simil doberman tutto dinoccolato e stortarello. Ho aperto gli occhi e li ho maledetti. Loro animali e i loro cani. Loro e i gatti randagi a cui danno il cibo per scaricarsi le coscienze. Ora mentre scrivo sto facendo tuonare io, il Rex del Requiem e il quartiere s'é zittito. Tra una traccia e l'altra solo la voce di Patrizia che ha gridato: la messa e' finita andate in pace. Era meglio quando qui abitavano i veri ladroni. E non queste mezze calzette che non sono piú ne' carne ne' pesce. I ladroni, quelli veri, vanno rispettati. Lavorano di notte e di giorno dormono e qui fino a qualche anno fa, la mattina, c'era un silenzio tombale, come il condono. Quelli sí che erano tempi. Ho sempre avuto il mito del ladrone. Gran bel mestiere. Sará che io me li raffiguro come i personaggi de I soliti ignoti, tipo Capannelle e Vittorio Gassman e Manfredi e Toto'. Ma mi fanno simpatia piu' di queste quattro zecche "spuzzolose" tutte telefonini, ignoranza e i loro cani fintoricchi. La verita' é che il mio sogno é sempre stato quello di non essere cio' che sono, cioe' quella che si puo' definire una "brava ragazza". Mi sarebbe piaciuto vivere la notte in giro per le bische. Il mio mito segreto e' quello dello spaccone. Quello che vive alla giornata senza porsi piú di tanti problemi. Quello che gira per sale con i dollari in tasca a sfidare tutti quelli che abboccano. Quella si' che sarebbe stata la mia vera aspirazione. Le corse con le macchine. E le sale piene di fumo che non vedi da qui a lí con le mani sporche dell'azzurro dei gessetti e del bianco del borotalco per far scivolare meglio la stecca. Mandare in buca quante piú palle sia possibile con quei tiri caramboleschi di chi è del mestiere per far rimanere tutti a bocca aperta, anche la cassiera cieca e il barista sordo. E invece son qui seduta con vicino questa luna in vergine che non mi molla mai e il mio senso di responsabilitá con cui giornalmente faccio a lotta, perdendo sempre. E l'unica trasgressione che mi concedo per assomigliare un poco al mio mito sono i tatuaggi che porto addosso, chiudendo per sempre il mio sogno di vita dentro cassetti disordinati e zeppi di follie e cose insensate. E ora son qui con questa tastiera in tedesco che devo dirle sempre e il ciddí che è finito. Finalmente c'è silenzio nel quartiere. Credo che Mozart li abbia stesi tutti. Sarebbe contento, se glielo dicessi. Credo che sarebbe anche venuto a giocare con me a biliardo, tra una sonata e l'altra. E m'avrebbe anche battuto. Ho 'sta sensazione addosso.

Thursday, June 24, 2004

Ai box Franca, la vicina, fa la Principessa Carolina.

Quando non ho niente da fare mi metto sullo stradone che porta al mio quartiere accovacciata sul muretto con su scritto "cè ghevara?" e guardo passare le macchine. Abito in periferia ma non so perché vedo sfrecciare certi macchinoni da far invidia ai saloni di ginevra e di stoccarda e anche al salone di casa di mia madre. ogni volta m'immagino di rivivere il gran premio di montecarlo e nella testa mi son tracciata una specie di circuito virtuale. Lo stradone potrebbe essere una sorta di traguardo con a destra la marana dove potrebbero mettere i paddock e a sinistra vicino lo scarico delle fogne potrebbero stazionare le postazioni per le delle riprese tivvù. Lo stradone porta alla curva del Casino (senz'accento chè mica siamo a montecarlo!), dove, se si corre in notturna, ci son tutti i fuocherelli di certe donne o travestiti, ora non saprei. Poi si passa alla chicane del Tabaccaio della Svociata, aperto ventiquattro ore su ventiquattro, che porta al tratto dell'Hotel Mirabbò (una camera ottanta euro). Dopodichè c'è il sottopasso da fare ad altissima velocità se si vuole uscir vivi che immette sulla variante delle Piscine, quelle comunali (dove i bambini fanno a gara a dorso e a stile con le pantegane migliori del quartiere: pare che una di loro sia stata ammessa addirittura alle regionali). Dalle Piscine si arriva alla cabina della Rascà (dove si fermano i macchinoni di cui sopra a fare acquisti particolari) che porta diretto e di filato in galera o di nuovo sul rettifilo dei box. Io mi metto lì e li vedo passare tutti. Uno era primo fin dall'inizio ma alle Piscine ha forato su un ago di siringa. Peccato, la macchina mica era male. Forse gliel'avevano "imprestata".

Wednesday, June 23, 2004

Tira più una bestemmia del Baffo che una di Vieri.

Se apriamo i giornali o sentiamo i tiggì da qui alla fine degli europei si sentirà solo parlare dello sputo di totti e della squalifica, di vieri e del suo ginocchio, di del piero e dell'uccellino che bevono acqua anziché giocare a calcio, di cassano che si farà anche se ha le spalle strette, di trapattoni e dei suoi probabili successori, del due a due truffa e della bulgaria che ha fatto il catenaccio, di beckham e di quanto è bello, di zizou e dei suoi dribbling, delle scarpe nike fatte più per sponsorizzare che per giocare, del caldo opprimente e della pioggia insistente, del rigore che a volte c'era e a volte non c'era, di berlusconi e di cosa ci faccia al governo (berlusconi tanto c'entra sempre in queste discussioni), dei mondiali dell'82 e di bearzot, della lite tra vieri e buffon e dei giornalisti che ci sguazzano dentro, dell'italia che era la favorita, degli arbitri che sono cornuti (anche questo è il luogo comune preferito dai tifosi), e di quando c'era Lui che tutto andava meglio, di una rondine che non fa primavera e che oramai si passa dal freddo al caldo senza più mezze stagioni.
Una cosa è passata inosservata ai più: ma la bestemmia di vieri in prima serata l'ha vista nessuno o è solo un frutto della mia fantasia anticlericale?