Tre cose facevo bene quando lavoravo come art junior: spupazzare l'art director facendolo ridere, comprargli il pranzo e badare alla cancelleria. Ero uscita da scuola pensando alle grandi campagne pubblicitarie che vedevo alla televisione, agli slogan che avevano fatto storia, alle immagini che piú mi avevano colpito sui giornali che mio zio ci riportava girando il mondo. Passavo le giornate costringendo mio padre, mia madre e anche una nostra parente ricca a vedere la Notte dei Pubblivori con tutti gli spot pubblicitari del mondo ai quali davamo dei voti e ogni tanto scappava anche l'applauso. Erano i tempi in cui ancora pensavo di cambiare il mondo. Non quello politico ché è pura utopia. Ma quello pubblicitario.
Il mio art director era dell'acquario. Come me. Era una battuta dietro l'altra. Lui rideva ed era contento. Io prendevo lo stipendio e mi divertivo. Mi voleva sempre accanto. Io seduta al suo fianco mentre lui, sghignazzante dietro il suo schermo quindici pollici di uno dei primi macintosh, impaginava idee dentro immagini e parole dentro slogan. Non mi potevo spostar mica da quella sedia lí. Né potevo dirgli: io 'sta cosa la vedrei bene qui. Per lui bastava che sfornassi battute. Ho fatto strada in quell'agenzia. Son passata di grado il giorno che per puro caso gli ho fatto scoprire l'alimentari all'angolo. Fin ad allora il mio art director aveva buttato soldi e fegato negli intrugli avariati del bar vicino al portone. Con me che gli portavo il panino ha potuto constatare faceva economie. Col panino magari non risparmiava il fegato però due lire in più rispetto ai prezzi del bar si. Non ha mai saputo che con i suoi soldi prendevo il solito panino con la mortadella per lui accompagnato da acqua liscia e una bella rosetta con il sandaniele per me con cocacola e kinderino incluso. Una volta ho scialato e ci ho fatto uscire il panino anche per Anna la centralista e per Maria la segretaria di un avvocato del secondo piano. Ero frustrata perchè non venivo apprezzata e in qualche modo lui doveva pur pagarla. Contenti di me, lui e il direttore suo coetaneo decisero di promuovermi affidandomi tutto il reparto cancelleria. Una svolta. Sapete cosa vuol dire per me avere sotto il naso colle da sballo, pennarelli a punta grossa, taglierini olfa, attasch, matite dalla zero due alle zero dodici, scatole di carandache, scatole di tutte le gradazioni di stabilo boss, post it gialli, rosa, verdini a quadri, a righine e anche a pois? Un godimento pari forse all'entrata in pasticceria o in edicola. Ho cominciato a vendere tutto al mercato nero. Alzavo belle cifre. Meglio dello stipendio tanto che mi comprai il game boy e anche un bel pigiama da ospedale per mia madre; regalai un orologio a mio padre e ogni tanto quando c'era carenza di pennarelloni, li rivendevo direttamente al direttore che così li pagava doppio. Ero brava. Va riconosciuto. Non ho mai fatto una campagna pubblicitaria né ho mai creato lo slogan che m'avrebbe reso ricca come ha fatto gavino sanna. Certo è che lí dentro ero la piú creativa, fatevelo dire. Almeno nell'arte dell'arrangio!
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