Nassiriya 1 e 2.
File immani. Dicono dalle cinque di questa mattina. Gente che sfida la pioggia, il freddo, gli acciacchi di stagione. Tutti in coda per rendere omaggio a loro, loro malgrado, gli eroi di una strage, l'ennesima, che non avremmo mai voluto vedere. Ci sono file lunghissime oggi fuori da Il vittoriano. E dentro ci son le bare. Una, due, tre fino a diciannove. Ragazzi come me, come te, come noi. Morti per dovere, morti per errore. E ci siamo noi, tutti là fuori. Incolonnati in serpentelli dalle lunghe spire, tutti muti, tutti uniti, tutti vicini, tutti stretti. E si' che deve morir qualcuno perché ci si ricordi che siamo un POPOLO. Ma non preoccupatevi, da domani, quando le bare calde lasceranno il posto ai freddi ricordi, si tornerà tutti come prima, vicini ma disuniti, stretti ma slegati a litigare per il posto sotto casa o per la cacca di cane lasciata in bella mostra vicino al portone. A blaterare e a cincischiare per un rigore che non hanno concesso o per una legge che ha concesso troppo. Ad arrabbiarci per il traffico o per la fila alla cassa di un grande supermercato con starnazzi da cortile e invidie da competizione gratuita. Ma oggi siamo tutti là. Oggi è un altro giorno. Oggi siamo uniti nel dolore. Vicini nel cordoglio. Con le facce meste a dovere e i palto' ben allacciati. Con il tricolore che sa di naftalina e la solidarietà che sa di muffa. Eccoci là, noi italiani, siamo tutti là in fila. Dicono in sessantamila. Ma domani anche più. Guarda, ci siamo tutti. E ci sei anche tu. Ti vedo, sai. "Ehi, dico a te". Si', proprio te che mi stai guardando. Fai ciao ciao con la manina. Siamo in diretta!
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