Un proverbio indiano dice che per conoscere una persona devi camminare nei suoi mocassini, mio padre aggiungeva che per giudicare una persona devi vederla mangiare a tavola. Io nel mio piccolo dico che devi anche vederne il comportamento al bar. Io e lei. Ci guardiamo da lontano come in quei duelli al sole, quelli che vedi nei film dove sparano tutto il tempo e vanno a cavallo. Cercando di non perderla, io dribblo due vecchie incartapecorite con la borsetta stretta in mano e lei inciampa in un guinzaglio di un cane abbandonato. Continuiamo a fissarci e intanto il bar s'avvicina. Con uno scatto da centista scarto due che fumano e che parlottano e infilo l'entrata del bar. Sono prima e lei seconda. Mi guadagno la cassa avanzando tra i tavolini stracolmi di gente che fa colazione. Ordino il caffè. Ma prendere un caffè al bar nelle ore di punta è più arduo che fare il record di aderenza migliorata battendo maiorca e jacquesmaiòl insieme. Il bancone di solito è occupato da frotte di gente che, incoscienti di quello che avviene alle loro spalle, continuano a chiacchierare del più e della roma finchè non han bevuto l'ultima goccia di cappuccino, spazzolato l'ultima briciola di cornetto e dato anche una sbirciatina nel piattino delle mance per vederne l'entità. Io mi incavolo al bar. Sempre. Primo perché sono una persona educata e invece vorrei essere un'ignorante di periferia di quelli che ti fucilano con un sguardo, che sbraitano, urlano, sgomitano e stanno sempre e comunque davanti. Secondo perché ho una voce esile esile e di solito il barista non mi sente anche perché sto ancora parcheggiata in quinta fila dietro a quelle vecchine sorde dai capelli azzurrini che mi spiegassero che ci fanno al bar alle otto e mezza, ai garagisti con la tuta da meccanico e le mani unte di grasso e dietro pure quelle quattro finte lavoratrici ministeriali che al bar ci pernottano pure e ci arrotondano la vita e il punto vita. C'è chi mi spintona di qua e chi di lá. E io non vedo altro che fauci spalancate e occhi goduriosi che gustano finte prelibatezze ignorando gli altri e ció che ne consegue. In quel momento li odio. Li odio tutti. E gli auguro che quelle leccornie gli vadano di traverso e che il cappuccino gli faccia salire cosí tanto i trigliceridi da rovinare loro e le loro prossime generazioni. Riflettendo sulla figura dei dietologi e sulla loro inutilitá in certi frangenti, noto che il barista mi ha degnato di uno sguardo. Urlo. Urlo anche se odio urlare e mi sento violentata in quel momento. Ma il barista notoriamente sordo e distratto non capisce. La gente incurante continua a spalancare fauci. A inghiottire cibo che sembra non mangi da un'eternitá. Guadagno metri come nel football americano. Tra gomitate riesco persino ad arrivare al bancone. Touch down! S'è fatta quasi la mezza. Che dici, ordino anche un panino?
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