Gente strana quella che va in vacanza. O forse sono solo strana io. Siamo partiti in sei, quest'anno. Ho pensato che un po' di sano svago e di riposo mi avrebbero fatto bene. La casa era piuttosto isolata e fuori il paese, senza schiamazzi e molto tranquilla. Siamo arrivati tutti stanchi, quasi distrutti dal viaggio in moto quindi non ho badato al fatto che per la prima sera andassimo a letto quasi al tramonto. Ho dato la colpa alla stanchezza, mica ad altro. La prima mattina ho aperto gli occhi svegliata da un gran botto. S'era chiusa la porta del bagno vicino la mia camera. Ho guardato l'ora: le otto meno dieci. Credo di aver imprecato. Si, ho imprecato e di brutto. Prima ho pensato che qualcuno fosse andato semplicemente in bagno. Ma poi un odore di caffè m'ha invaso di colpo le narici e come il cane di Pavlov ho spalancato gli occhi cercando di capire chi maledetto s'aggirasse per la casa a quell'ora indecente. Esco dalla stanza e trovo la sorpresa. Erano tutti in piedi indaffarati e giá pronti in costume. Ero contenta di essere in vacanza, cosí la situazione non mi è pesata piú di tanto. O forse avevo solo la luna buona quella che calma anche le belve piú feroci. Parlavano tutti e tutti insieme: parlavano delle spiagge da visitare, del giro in barca da fare, parlavano di cibo per il pranzo, parlavano addirittura dei programmi per il giorno dopo e della cena per la sera e della spesa e del porceddu che va assolutamente assaggiato e della seadas che è buonissima col mirto. Ho fatto finta di niente, ho pensato che fossero solo entusiasti per quel viaggio cosí avventuroso. Il secondo giorno stessa storia. Rumore dello sciacquone alle sette e un quarto stavolta. Esco dalla stanza e c'era già chi preparava panini con avanzi di spezzatino della sera prima e l'insalata. Ho pensato alla pazzia criminale. Non la mia, naturalmente. Ho dato la colpa ai bioritmi e dentro di me ho scusato tutti dicendo che forse per ambientarsi ci vogliono un po' di giorni. Il quarto giorno erano le sei e mezza e c'era giá gente in piedi. Avevano preso i cornetti, che cari! Non li ho mangiati, ovviamente, visto che col primo rutto di caffè di solito mi vien su la cena della sera prima e se sono sfortunata anche il pranzo di due giorni prima. Il quinto giorno, un silenzio strano. Esco dalla stanza e rimango lí allibita e intontita con i miei calzoncini rossi da giocatore di basket e la maglietta bucata UsaforAfrica. Erano giá tutti pronti per la gita in barca, chi con le pinne, chi con la maschera per i fondali marini, chi con i braccioli e la ciambella perché non sa nuotare, chi con l'olio solare al cocco che di prima mattina non lo auguro neanche a bin laden. Ho pensato alla follia quella vera, non la mia neanche stavolta. Ho pensato che cerchiamo la pace tutto l'anno e poi facciamo di tutto per non trovarla. Ho pensato che sto invecchiando e che l'anno prossimo mi chiuderó su una montagna a fare il "romito" come dice Eduardo. Gente strana quella che va in vacanza. L'ultimo giorno ho messo la sveglia alle tre e cinque. Per non lasciare roba in frigo ho fatto una specie di frittata con tutto quello che c'era: otto uova vecchie, una cipolla tutta ingiallita che non odorava neanche più, tre funghi sciampignón, due ravanelli, tre olive con noccíolo e anche cinque wurstell di pollo. Ho pulito tutta casa e ho preparato le valigie di tutti. Per accontentare il mio marte in scorpione in cerca di vendetta immediata li ho svegliati alle quattro e tre quarti e siamo arrivati alla nave sette ore prima, che ancora albeggiava. Non vedevo l'ora di tornarmene a casa. Per riposarmi, ovviamente.
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