Thursday, September 11, 2003

e pensare che solo una settimana fa ero nel deserto. sembrava uno di quei viaggetti cosi' e cosi': aeroporto, welcome, pullman, albergo, villaggio, animazione, due palle. certo è che la stanchezza di un anno di lavoro era tanta e andava bene anche una vacanza cosi' e cosi', chiusi dentro a un villaggio a vedere tedeschi ubriachi gia' la mattina e felici al suono di chiuaua e la bomba e di asereje'. poi la riunione con Lui, il ragazzo del Tour Operator che ci aveva portato li'. prospettive?
un viaggio di due giorni nel sahara
un giorno a tunisi e silibusaid o come si chiama
un giorno a cartagine
propendo per la prima: il sahara. vabbe', mi dico, non sara' il sahara di Paradise quello piu' sperduto con i predoni (tutti belli, ovviamente) che ti rincorrono a cavallo e tu che ti rifugi in groppa al tuo cammello nella prima oasi a destra, naturalmente stupenda con acqua dall’azzurro al bluette, scimmie amiche e palme che ti riforniscono di ogni ben di dio. pero', sempre tra me e me, è pur sempre il sahara. preparazione al viaggio? carico la batteria della telecamera, la macchinetta digitale, lascio le ultime memorie scritte e i vari testamenti (non si sa mai, è pur sempre il deserto!), mi vesto in tenuta “africana”: risultato un simil-modello alberto sordi in “Riusciranno i nostri eroi…”. appuntamento nella hall dell’albergo alle sei di mattina (sarà un lungo viaggio, penso).
saliamo sul pulmann. io. la mia amica e altri italiani tutti vestiti come me, cioè come alberto sordi nel film. tutti già muniti di telecamerina, macchinina digitale, orologio con bussola, lanciarazzi che non si sa mai, giubbotto salvagente, madonnina che piange lacrime appesa al collo, foto della mamma nel portafogli e foto ricordo di roberto baggio con su scritto “a pupa con simpatia”.
comincia l’avventura. cominciamo a riprendere tutto. io scatto foto alla mia amica. lei riprende me mentre le scatto le foto. altri ragazzi riprendono noi nel pulman che a nostra volta scattiamo foto ricordo a loro. naturalmente dopo un quarto d’ora già tutti amici (l’italiano non si perde mai d’animo!) e già tre rullini e due ore di girato del pulman e del cortile del villaggio.
sul pulman intoniamo i soliti canti da gita: oh, bella ciao; l’italiano di toto cutugno che all’estero fa tanto casa; vecchio scarpone; la fiera dell’est che a cantarla tutta tre quarti del viaggio passa in fretta. qualcuno azzarda anche “che ce frega der cileno noi ciavemo totti gol”, ma smette quasi subito.
prima tappa: el jem. che è, direte voi? me lo sono detta pure io. è il colosseo, ho scoperto dopo. dicono che sia quello dove hanno girato Il gladiatore. l’entrata è gratis (è compresa nella quota dell’escursione), le foto e i filmini all’interno no: 1 dinaro. paghiamo ‘sto dinaro (poi abbiamo scoperto che qualsiasi cosa tu voglia fare c’è sempre la spada di damocle de’ ‘sto dinaro: foto con la scimmietta, foto con il baby cammello, foto con le volpi del deserto, foto che vai al bagno, foto a letto col cammelliere, foto che poggi per caso una mano su una pietra per reggerti, insomma paghi tutto!) e ci sentiamo in diritto di fotografare tutto, ma proprio tutto: un ragazzo di pisa ha ripreso addirittura un ciuffo di capelli di non so chi che svolazzava nell’aria e un filo d’erba che spuntava da una roccia!
lasciamo el jem e riprendiamo il nostro viaggio. sempre più carichi di foto. sempre più entusiasti. guardiamo il panorama con occhi sgranati e filmiamo tutto: le distese immense di olivi, gli sgozzamenti degli agnelli a bordo strada che è usanza cucinare li' per li' sui barbecue, gente che passa, macchine, targhe delle macchine neanche facessimo i vigili!
facciamo un pranzo veloce. non so dove, sinceramente. e continuiamo il viaggio verso matmata e le case troglodite. prima di scendere dal pulman, ci hanno consigliato di bagnarci la testa e di metterci i cappelli per via del sole che picchia molto in quei posti. oh, non ce lo scordiamo: eravamo nel deserto! non hanno contato che veniavamo da un’estataccia a roma e che che i cinquanta gradi loro erano acqua fresca per noi. entriamo nella case troglodite (case scavate nella roccia, alcune ancora abitate e dotate anche di parabola!). entriamo molto rispettosi. abbiamo paura quasi di fotografare. poi s’è scoperto che hanno messo là delle comparse a far finta di macinare un qualcosa su un rudimentale arnese circolare e a farci vedere la loro casa finto abitata. all’uscita, costo della visita: 1 dinaro. e te pareva!
vabbè. siamo entusiasti anche di questa hollywood troglodita. e continuiamo a macinare (noi veramente!) chilometri. quasi in tardo pomeriggio arriviamo a douz. la porta del sahara. wow. gulp. sono emozionata come il giorno che ho fatto poker alle macchinette nel bar qui di fronte. scendo dal pulman con le mani sudaticce e il cuore all’impazzata. cavolo. metto i piedi sul deserto. ci son già pronti i cammelli per la cammellata. sembrano macchine allo starter con i cammellieri altrettanto pronti per noi. salgo sul cammello sperando che non si “afflosci”. mi son pure dimagrita ‘st’estate, mi dico. speriamo che regga. il cammello regge. partiamo per il nostro viaggio. tutti in gruppo. chi più lento, chi meno. avanziamo sembrando beduini. tutti con le magliette legate intorno alla testa. il vento che la sabbia te la ritrovi pure nei buchi più infimi. le telecamere che rivisti poi i filmini sembrano tutte col morbo di parkinson. le bottigline per prendere la sabbia da portare a casa come ricordo. i cammelli che fanno certi versi tutti loro. e per fortuna. la paura degli scorpioni e dei cobra reali, quelli che si vedono solo in tv! avanziamo lentamente. i cammellieri a piedi. che ingiustizia. io faccio amicizia col mio. Arbi'. due occhi buoni. semplice nell’avanzare lentamente quasi come procede la sua vita. mi ha chiesto il telefono, Arbi', ho tergiversato. è il tramonto. il cielo ha un po’ di foschia. non siamo stati fortunati nel vedere quei tramonti classici col sole rosso fuoco all’orizzonte. da lontano si sentono i canti e le preghiere dei musulmani. c’è quiete intorno. il vento caldo che sembra di essere dentro un grande phon. la sabbia fine fine quasi come polvere. le palme cariche di datteri. niente avanti. niente dietro. niente a destra. niente a sinistra. solo sabbia. dune in movimento. palme. noi. i cammellieri. i flash che immortalano momenti da ricordare. sabbia come souvenir che io tengo a casa come c’è chi tiene l’acqua delle madonnine di lourdes. si fa quasi notte. torniamo alla base. ricchi ognuno della propria esperienza. saluto il cammello, che s’è comportato bene. e penso di regalare qualche dinaro ad Arbi'. ma poi penso di offenderlo. arriviamo in albergo. tutti muti. persino le telecamere e le macchinette fotografiche a riposo. portiamo dentro quel silenzio del deserto. ci portiamo dentro qualcosa fuori del comune.
e pensare che solo una settimana fa ero nel deserto. oggi son qui. col frastuono intorno. ma di molto rasserenata e di molto arricchita. una parte di me reclama quella quiete. quei paesaggi. quella vita semplice. l’altra parte continua la sua vita sfrenata, navigando in altri tipi di viaggio. non ho visto gli scorpioni se non in bottigline imbalsamati; non ho visto neanche un cobra allo stato brado: l’unico era vivo e scorrazzava con l’animatore per far felici i tedeschi di cui sopra. forse non ho visto neanche il vero sahara. o la vita veramente vera. ma quella che porto dentro è la mia esperienza fatta di entusiasmo e di racconti. e cerco di trasmetterla. il tutto gratis. senza pagare neanche un dinaro!

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