Sunday, September 28, 2003

La grande notte in “bianco”
E veltroni dice: “le persone in una fila tutta ordinata”. quello che ho visto io è altro: code, siparietti da vincita dello scudetto, clacson a tutto spiano, file ovunque, traffico congestionato, luoghi strapieni, gente che ti calpestava, ignoranza e ignoranzità, bambini trascinati in giro per la città alle tre di notte, vecchi con le flebo al seguito, code lunghissime (da russia di altri tempi) vicino agli stand che offrivano da mangiare; un milione di persone in giro e neanche in cerca di un posto di lavoro. vedendo quel marasma ho pensato che, il giorno dopo, roma fosse destinata a sparire in un grande pluff. un casino bestiale insomma. una festa? ma de’ che? e io che volevo solo gustarmi castel sant’angelo di notte, ma c’era una fila fuori che la coda arrivava quasi a san pietro, rigorosamente chiuso naturalmente (i preti, si sa, vanno a letto presto!). me ne sono andata da questo frastuono più di corsa che di fretta. da queste persone che erano là tutt’altro che in festa, ma solo a “scrocco”. dalla fila sui barconi del tevere che di solito reputiamo solo la fogna della fogna. ci hanno voluto far credere che tutto era allegria e gioia e spensieratezza. ci hanno voluto far credere che c’era tutto e di più. e probabilmente c’era tutto e di più: ad arrivarci! come capita spesso (-sempre- lo scrivo sottovoce) da noi, le cose le organizzano malissimo: le macchine e i motorini che viaggiavano di pari passo con le persone; ma tanto si sa, il popolo romano è duro a mollare l’adorata vettura. pochi mezzi di trasporto in giro (come di giorno, naturalmente). nessun incremento di cassonetti e cestini per gettare i rifiuti: quei pochi che c’erano erano strapieni e la maggior parte della “monnezza” era gentilmente adagiata per strada. insomma era la festa di roma? a poterla vedè!!! me sono andata a casa. e per fortuna. ho maledetto il momento in cui ho deciso di andare. poi per cercare di vedere il bicchiere mezzo pieno mi son detta: per criticare bisogna anche toccare con mano. e io ho visto. quel poco che bastava, ma ho visto. anche perché dopo è è stato buio totale. ho pensato al solito temporale e ai soliti disagi che ne conseguono. me ne sono andata a casa e tutto era molto strano. buio ovunque. un buio atipico. nero. fondo. le scale a tempo di record. entro in casa. buio pesto. avevo preso il caffè tardi per tirare fino all’alba e vedere i concerti dell'alba al pincio. e così non avevo granchè sonno. ho acceso la candela e ho cominciato a leggere. tutto silenzio intorno. non c’era la luce del lampione fuori. il lampione solito che mi fa compagnia quasi come una luce di cortesia. non c’era la radiosveglia. non c’era la lucetta stand-by della tivvù. non il rumore a intervalli del frigo. niente. buio e silenzio totale. ho continuato la mia lettura in questo silenzio quasi inquietante. con la candela vicina: come ai tempi dell’ottocento, mi son detta. e la cosa m’ha fatto quasi sorridere e rinfrancare. è arrivato il momento di dormire. ho spento la candela. non con le dita umide. ci ho soffiato sopra: un odore forte e nuovo che non avevo mai abbinato al momento di dormire. per qualche minuto m’hanno fatto compagnia le due stelle luminose che tengo sul soffitto (guardandole la notte mando sempre un pensiero ar parte a alla matre). poi il buio. il buio pesto. ho avuto un momento d’agitazione. ho pensato al mio incubo ricorrente: essere murata viva al buio e non riuscire a trovare la strada per uscire. ho pensato a quello. m’è venuto da accendere l’abat-jour. niente. il lampione fuori: niente. la radiosveglia: niente. buio, buio e niente più. per disperazione mi sono addormentata, cullata dal rumore della pioggia. ho aperto gli occhi e il primo pensiero è stato guardare la radiosveglia. niente. tutto spento. accendo il telefonino: morto pure lui. devo ancora capire il perché. con quel poco di batteria accendo il portatile e mi collego ad internet: s’è rotto non so che in francia e noi siamo senza elettricità. i francesi ci danno la colpa. dicono che non siamo stati pronti all’emergenza. e io ci credo. spengo il portatile per lasciarmi un alito di batteria: sembra la gara di sopravvivenza di qualche isola sperduta nell’oceano. qui tutto tace. solo il vento e ogni tanto la pioggia. ogni tanto butto gli occhi al video per guardare l’ora. niente. penso al frigo. alla spesa fatta che si scongela. al fatto che non ci dicono quando riavremo la luce. che strana giornata. quando torna la corrente, accendo la tivvù per sapere. per sapere di più. m’accorgo che senza elettricità si fermano un sacco di cose a cui non avevo mai pensato: i trasporti, i bancomat per prelevare, le pompe di benzina, le autoclavi per tirare su l’acqua nelle case che non ce l’hanno diretta, le macchine a gas elettriche dentro casa che se non hai l’accendino non ti fai neanche un caffè e poi gli ospedali e parecchio di più. una strana giornata, insomma. dicono che per apprezzare cio' che hai ti deve venire a mancare. e forse è vero. forse, pero'.

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