...e ce lo so bene che c'è la LUNA QUADRATA!!!
ho rianimato il computer fino all'una. sembravo Carter in un episodio di ER!
ho provato tutto:
- staccare lo spinotto nero
- riavviare con CRTL ALT CANC
- riavviare con il bottoncino sotto
- caricare le piastre a 260 e ho detto pure: LIBERA!!!
- lanciare i componenti come Miva
- imprecare di santa ragione
- spegnere tutto e mangiarmi un panino con la groviera
ora, 'nse sa perchè, sembra che vadi. lui, si. io no: ci ho pure l'influenza e il mal di gola!
ora stacco. chiudo. stop. cip. ciop.
Tuesday, September 30, 2003
Sunday, September 28, 2003
La grande notte in “bianco”
E veltroni dice: “le persone in una fila tutta ordinata”. quello che ho visto io è altro: code, siparietti da vincita dello scudetto, clacson a tutto spiano, file ovunque, traffico congestionato, luoghi strapieni, gente che ti calpestava, ignoranza e ignoranzità, bambini trascinati in giro per la città alle tre di notte, vecchi con le flebo al seguito, code lunghissime (da russia di altri tempi) vicino agli stand che offrivano da mangiare; un milione di persone in giro e neanche in cerca di un posto di lavoro. vedendo quel marasma ho pensato che, il giorno dopo, roma fosse destinata a sparire in un grande pluff. un casino bestiale insomma. una festa? ma de’ che? e io che volevo solo gustarmi castel sant’angelo di notte, ma c’era una fila fuori che la coda arrivava quasi a san pietro, rigorosamente chiuso naturalmente (i preti, si sa, vanno a letto presto!). me ne sono andata da questo frastuono più di corsa che di fretta. da queste persone che erano là tutt’altro che in festa, ma solo a “scrocco”. dalla fila sui barconi del tevere che di solito reputiamo solo la fogna della fogna. ci hanno voluto far credere che tutto era allegria e gioia e spensieratezza. ci hanno voluto far credere che c’era tutto e di più. e probabilmente c’era tutto e di più: ad arrivarci! come capita spesso (-sempre- lo scrivo sottovoce) da noi, le cose le organizzano malissimo: le macchine e i motorini che viaggiavano di pari passo con le persone; ma tanto si sa, il popolo romano è duro a mollare l’adorata vettura. pochi mezzi di trasporto in giro (come di giorno, naturalmente). nessun incremento di cassonetti e cestini per gettare i rifiuti: quei pochi che c’erano erano strapieni e la maggior parte della “monnezza” era gentilmente adagiata per strada. insomma era la festa di roma? a poterla vedè!!! me sono andata a casa. e per fortuna. ho maledetto il momento in cui ho deciso di andare. poi per cercare di vedere il bicchiere mezzo pieno mi son detta: per criticare bisogna anche toccare con mano. e io ho visto. quel poco che bastava, ma ho visto. anche perché dopo è è stato buio totale. ho pensato al solito temporale e ai soliti disagi che ne conseguono. me ne sono andata a casa e tutto era molto strano. buio ovunque. un buio atipico. nero. fondo. le scale a tempo di record. entro in casa. buio pesto. avevo preso il caffè tardi per tirare fino all’alba e vedere i concerti dell'alba al pincio. e così non avevo granchè sonno. ho acceso la candela e ho cominciato a leggere. tutto silenzio intorno. non c’era la luce del lampione fuori. il lampione solito che mi fa compagnia quasi come una luce di cortesia. non c’era la radiosveglia. non c’era la lucetta stand-by della tivvù. non il rumore a intervalli del frigo. niente. buio e silenzio totale. ho continuato la mia lettura in questo silenzio quasi inquietante. con la candela vicina: come ai tempi dell’ottocento, mi son detta. e la cosa m’ha fatto quasi sorridere e rinfrancare. è arrivato il momento di dormire. ho spento la candela. non con le dita umide. ci ho soffiato sopra: un odore forte e nuovo che non avevo mai abbinato al momento di dormire. per qualche minuto m’hanno fatto compagnia le due stelle luminose che tengo sul soffitto (guardandole la notte mando sempre un pensiero ar parte a alla matre). poi il buio. il buio pesto. ho avuto un momento d’agitazione. ho pensato al mio incubo ricorrente: essere murata viva al buio e non riuscire a trovare la strada per uscire. ho pensato a quello. m’è venuto da accendere l’abat-jour. niente. il lampione fuori: niente. la radiosveglia: niente. buio, buio e niente più. per disperazione mi sono addormentata, cullata dal rumore della pioggia. ho aperto gli occhi e il primo pensiero è stato guardare la radiosveglia. niente. tutto spento. accendo il telefonino: morto pure lui. devo ancora capire il perché. con quel poco di batteria accendo il portatile e mi collego ad internet: s’è rotto non so che in francia e noi siamo senza elettricità. i francesi ci danno la colpa. dicono che non siamo stati pronti all’emergenza. e io ci credo. spengo il portatile per lasciarmi un alito di batteria: sembra la gara di sopravvivenza di qualche isola sperduta nell’oceano. qui tutto tace. solo il vento e ogni tanto la pioggia. ogni tanto butto gli occhi al video per guardare l’ora. niente. penso al frigo. alla spesa fatta che si scongela. al fatto che non ci dicono quando riavremo la luce. che strana giornata. quando torna la corrente, accendo la tivvù per sapere. per sapere di più. m’accorgo che senza elettricità si fermano un sacco di cose a cui non avevo mai pensato: i trasporti, i bancomat per prelevare, le pompe di benzina, le autoclavi per tirare su l’acqua nelle case che non ce l’hanno diretta, le macchine a gas elettriche dentro casa che se non hai l’accendino non ti fai neanche un caffè e poi gli ospedali e parecchio di più. una strana giornata, insomma. dicono che per apprezzare cio' che hai ti deve venire a mancare. e forse è vero. forse, pero'.
E veltroni dice: “le persone in una fila tutta ordinata”. quello che ho visto io è altro: code, siparietti da vincita dello scudetto, clacson a tutto spiano, file ovunque, traffico congestionato, luoghi strapieni, gente che ti calpestava, ignoranza e ignoranzità, bambini trascinati in giro per la città alle tre di notte, vecchi con le flebo al seguito, code lunghissime (da russia di altri tempi) vicino agli stand che offrivano da mangiare; un milione di persone in giro e neanche in cerca di un posto di lavoro. vedendo quel marasma ho pensato che, il giorno dopo, roma fosse destinata a sparire in un grande pluff. un casino bestiale insomma. una festa? ma de’ che? e io che volevo solo gustarmi castel sant’angelo di notte, ma c’era una fila fuori che la coda arrivava quasi a san pietro, rigorosamente chiuso naturalmente (i preti, si sa, vanno a letto presto!). me ne sono andata da questo frastuono più di corsa che di fretta. da queste persone che erano là tutt’altro che in festa, ma solo a “scrocco”. dalla fila sui barconi del tevere che di solito reputiamo solo la fogna della fogna. ci hanno voluto far credere che tutto era allegria e gioia e spensieratezza. ci hanno voluto far credere che c’era tutto e di più. e probabilmente c’era tutto e di più: ad arrivarci! come capita spesso (-sempre- lo scrivo sottovoce) da noi, le cose le organizzano malissimo: le macchine e i motorini che viaggiavano di pari passo con le persone; ma tanto si sa, il popolo romano è duro a mollare l’adorata vettura. pochi mezzi di trasporto in giro (come di giorno, naturalmente). nessun incremento di cassonetti e cestini per gettare i rifiuti: quei pochi che c’erano erano strapieni e la maggior parte della “monnezza” era gentilmente adagiata per strada. insomma era la festa di roma? a poterla vedè!!! me sono andata a casa. e per fortuna. ho maledetto il momento in cui ho deciso di andare. poi per cercare di vedere il bicchiere mezzo pieno mi son detta: per criticare bisogna anche toccare con mano. e io ho visto. quel poco che bastava, ma ho visto. anche perché dopo è è stato buio totale. ho pensato al solito temporale e ai soliti disagi che ne conseguono. me ne sono andata a casa e tutto era molto strano. buio ovunque. un buio atipico. nero. fondo. le scale a tempo di record. entro in casa. buio pesto. avevo preso il caffè tardi per tirare fino all’alba e vedere i concerti dell'alba al pincio. e così non avevo granchè sonno. ho acceso la candela e ho cominciato a leggere. tutto silenzio intorno. non c’era la luce del lampione fuori. il lampione solito che mi fa compagnia quasi come una luce di cortesia. non c’era la radiosveglia. non c’era la lucetta stand-by della tivvù. non il rumore a intervalli del frigo. niente. buio e silenzio totale. ho continuato la mia lettura in questo silenzio quasi inquietante. con la candela vicina: come ai tempi dell’ottocento, mi son detta. e la cosa m’ha fatto quasi sorridere e rinfrancare. è arrivato il momento di dormire. ho spento la candela. non con le dita umide. ci ho soffiato sopra: un odore forte e nuovo che non avevo mai abbinato al momento di dormire. per qualche minuto m’hanno fatto compagnia le due stelle luminose che tengo sul soffitto (guardandole la notte mando sempre un pensiero ar parte a alla matre). poi il buio. il buio pesto. ho avuto un momento d’agitazione. ho pensato al mio incubo ricorrente: essere murata viva al buio e non riuscire a trovare la strada per uscire. ho pensato a quello. m’è venuto da accendere l’abat-jour. niente. il lampione fuori: niente. la radiosveglia: niente. buio, buio e niente più. per disperazione mi sono addormentata, cullata dal rumore della pioggia. ho aperto gli occhi e il primo pensiero è stato guardare la radiosveglia. niente. tutto spento. accendo il telefonino: morto pure lui. devo ancora capire il perché. con quel poco di batteria accendo il portatile e mi collego ad internet: s’è rotto non so che in francia e noi siamo senza elettricità. i francesi ci danno la colpa. dicono che non siamo stati pronti all’emergenza. e io ci credo. spengo il portatile per lasciarmi un alito di batteria: sembra la gara di sopravvivenza di qualche isola sperduta nell’oceano. qui tutto tace. solo il vento e ogni tanto la pioggia. ogni tanto butto gli occhi al video per guardare l’ora. niente. penso al frigo. alla spesa fatta che si scongela. al fatto che non ci dicono quando riavremo la luce. che strana giornata. quando torna la corrente, accendo la tivvù per sapere. per sapere di più. m’accorgo che senza elettricità si fermano un sacco di cose a cui non avevo mai pensato: i trasporti, i bancomat per prelevare, le pompe di benzina, le autoclavi per tirare su l’acqua nelle case che non ce l’hanno diretta, le macchine a gas elettriche dentro casa che se non hai l’accendino non ti fai neanche un caffè e poi gli ospedali e parecchio di più. una strana giornata, insomma. dicono che per apprezzare cio' che hai ti deve venire a mancare. e forse è vero. forse, pero'.
Friday, September 26, 2003
mi sa che a roma le frecce indicative verso L'Auditorium le hanno montate sui pali come si butta il parmigiano sui maccheroni.
trovate le suddette frecce nei posti più strani e lontani, tipo:
- uscita via del mare verso ostiense direzione san paolo (distanza dall'auditorium: 3 giorni a piedi - di buona lena, pero')
- via antonio ciamarra angolo palmiro togliatti (distanza stimata dall'auditorium: cinque minuti con L'airforceOne)
- casilina vecchia vicino Lidl (distanza dall'auditorium: una settimana con la cammellata delle diciotto)
- prati fiscali direzione fidene (distanza dall'auditorium: 6 kilometri a nuoto nel biondo tevere)
- stazione tiburtina, presso fermata Arpa (distanza dall'auditorium: una quindicina di giorni passando per il Gran Sasso).
trovate le suddette frecce nei posti più strani e lontani, tipo:
- uscita via del mare verso ostiense direzione san paolo (distanza dall'auditorium: 3 giorni a piedi - di buona lena, pero')
- via antonio ciamarra angolo palmiro togliatti (distanza stimata dall'auditorium: cinque minuti con L'airforceOne)
- casilina vecchia vicino Lidl (distanza dall'auditorium: una settimana con la cammellata delle diciotto)
- prati fiscali direzione fidene (distanza dall'auditorium: 6 kilometri a nuoto nel biondo tevere)
- stazione tiburtina, presso fermata Arpa (distanza dall'auditorium: una quindicina di giorni passando per il Gran Sasso).
Tuesday, September 23, 2003
L’isola dei “saranno” famosi
ero a casa ieri pomeriggio. che faccio, che non faccio: accendo la tv. davano il collegamento delle 18.40 con l’isola dei famosi. avendone sentite di cotte e di crude, ho voluto vedere con i miei occhi di cosa si trattasse. avevo letto qua e la' cose bruttissime sui quei dieci “disgraziati”: pappalardo “coatto”, testi “sfatto”, torretta “inutile”, carmen russo “boh”, chiappini “cicciona” (vorrei avere io i suoi chili di troppo!), de blank “viziata”, ruta “dentona”; insomma chi più ne ha più ne metta. non nascondo quindi che ero piuttosto prevenuta riguardo quella che reputavo una trasmissione stupida (visto che la giungla vera è quella cittadina e non l’isola sperduta in mezzo al mare) o perlomeno copiata, fatta su una rete che non vedo da anni se non il lunedi sera per “ER”, con dei personaggi che nessuno si copre più! inzio quindi a guardarla con un bel sorrisetto ironico sulla bocca e una chilata di pregiudizi in testa. cosa mi trovo di fronte? un pappalardo, anima e animatore del gruppo, una de blank che non si butta giù, una ruta che piange probabilmente più per i morsi della fame che per i figli, una carmen russo che si dispera per suo marito e che spera che il pubblico (a telecamere spente) non li creda nel migliore hotel dell’isola, una torretta che parla della sua sfida personale (“mi reputano tutti una mangiatrice di uomini e una che senza il letto a baldacchino non va da nessuna parte…"), un silvestri che s’affida alla figura paterna di pappalardo, un testi che, da buon veneto e da buon leone, si dà da fare per sè e per gli altri: ognuno là con la sua motivazione personale, con la sua storia, col suo dramma, con i suoi fallimenti in corso, con il suo “non essere” più qualcuno o non esserlo mai stato! quel sorriso ironico che avevo stampato sul viso, mi si è raggelato. e anche ora che scrivo m’immagino quei “poveri disgraziati” alle prese con i mosquitos (boh, so’ zanzare, credo!), con le piogge e i monsoni, con il poco cibo fatto solo di ostriche che farebbero male anche ai fegati più paludati, senza tetto, con poca acqua. e tutto perche'? perché queste son le leggi della nostra giungla, governata dal marketing, dall'audience, dalle plastiche facciali, dal nepotismo, dalle veline e letterine e pure cretine; dove se non sei più nessuno (posto che tu lo sia stato!) devi metterti alla berlina e inventarti di essere il tarzan del duemila, farti vedere in costume semi-adamitico e rischiare la vita per avere il tuo giorno di gloria e il tuo titolo a grandi lettere sul giornale. e questo mi fa gelare il sangue ancora di più e rattristare non di meno. e allora rivaluto la figura di pappalardo, della ruta, di testi, della russo e degli altri, costretti da questo Sistema “a fingersi acrobati per non sentirsi dei nani!” (scusa, renà, t’ho rubato le parole!) e tifo per loro e per l'umanita' che hanno tirato fuori. tifo perché abbiano il loro giorno di gloria, la loro copertina piu' che meritata, perché abbiano cio' che sperano, anche per un sol giorno fino al momento in cui saranno rimessi in naftalina e dimenticati per sempre. come si fa con tutto, ormai. o no?
ero a casa ieri pomeriggio. che faccio, che non faccio: accendo la tv. davano il collegamento delle 18.40 con l’isola dei famosi. avendone sentite di cotte e di crude, ho voluto vedere con i miei occhi di cosa si trattasse. avevo letto qua e la' cose bruttissime sui quei dieci “disgraziati”: pappalardo “coatto”, testi “sfatto”, torretta “inutile”, carmen russo “boh”, chiappini “cicciona” (vorrei avere io i suoi chili di troppo!), de blank “viziata”, ruta “dentona”; insomma chi più ne ha più ne metta. non nascondo quindi che ero piuttosto prevenuta riguardo quella che reputavo una trasmissione stupida (visto che la giungla vera è quella cittadina e non l’isola sperduta in mezzo al mare) o perlomeno copiata, fatta su una rete che non vedo da anni se non il lunedi sera per “ER”, con dei personaggi che nessuno si copre più! inzio quindi a guardarla con un bel sorrisetto ironico sulla bocca e una chilata di pregiudizi in testa. cosa mi trovo di fronte? un pappalardo, anima e animatore del gruppo, una de blank che non si butta giù, una ruta che piange probabilmente più per i morsi della fame che per i figli, una carmen russo che si dispera per suo marito e che spera che il pubblico (a telecamere spente) non li creda nel migliore hotel dell’isola, una torretta che parla della sua sfida personale (“mi reputano tutti una mangiatrice di uomini e una che senza il letto a baldacchino non va da nessuna parte…"), un silvestri che s’affida alla figura paterna di pappalardo, un testi che, da buon veneto e da buon leone, si dà da fare per sè e per gli altri: ognuno là con la sua motivazione personale, con la sua storia, col suo dramma, con i suoi fallimenti in corso, con il suo “non essere” più qualcuno o non esserlo mai stato! quel sorriso ironico che avevo stampato sul viso, mi si è raggelato. e anche ora che scrivo m’immagino quei “poveri disgraziati” alle prese con i mosquitos (boh, so’ zanzare, credo!), con le piogge e i monsoni, con il poco cibo fatto solo di ostriche che farebbero male anche ai fegati più paludati, senza tetto, con poca acqua. e tutto perche'? perché queste son le leggi della nostra giungla, governata dal marketing, dall'audience, dalle plastiche facciali, dal nepotismo, dalle veline e letterine e pure cretine; dove se non sei più nessuno (posto che tu lo sia stato!) devi metterti alla berlina e inventarti di essere il tarzan del duemila, farti vedere in costume semi-adamitico e rischiare la vita per avere il tuo giorno di gloria e il tuo titolo a grandi lettere sul giornale. e questo mi fa gelare il sangue ancora di più e rattristare non di meno. e allora rivaluto la figura di pappalardo, della ruta, di testi, della russo e degli altri, costretti da questo Sistema “a fingersi acrobati per non sentirsi dei nani!” (scusa, renà, t’ho rubato le parole!) e tifo per loro e per l'umanita' che hanno tirato fuori. tifo perché abbiano il loro giorno di gloria, la loro copertina piu' che meritata, perché abbiano cio' che sperano, anche per un sol giorno fino al momento in cui saranno rimessi in naftalina e dimenticati per sempre. come si fa con tutto, ormai. o no?
Monday, September 22, 2003
la vita non è altro che uno yo-yo, disse il link che era capitato nelle sue abili mani: oggi sei su. domani giù. e poi non ci sei più. ma che sia una volta e per sempre, disse a se stesso sempre più esterrefatto. non capiva il perchè di quel suo strano andare. credeva che essere un link non fosse altro che essere un link qualunque, legato a un www qualsiasi, con un click uguale a qualsiasi altro click. ma col passar del tempo si rese conto che altro non era che il termometro dello stato d'animo di quelle abili mani: oggi alle stelle se s'era comportato bene. domani nelle stalle se il suo comportamento era cosi' o cosi'. decise di partire. prese i suoi www che gli facevano tanta compagnia e se ne ando' lontano. sperando che si dimenticassero di lui. che non lo menzionassero più. penso' di ritornare nelle stalle a far compagnia a quei cavalli suoi migliori amici. spero' di vedere quelle stesse stelle solo da lontano come luce per indicargli una via che sembrava oscura. decise cosi'. spari' per sempre e non fece mai più ritorno. povero link. era amico mio!
Friday, September 19, 2003
VENGA AVANTI, CREATIVO!
stanotte ho avuto un incubo bestiale! ero là che mi cucinavo due spaghetti burro e parmigiano ed è spuntata dal nulla la nonnina della findus che m’ha scippato il piatto da sotto gli occhi. imbestialita, sono uscita a comprarmi qualcos’altro da mangiare. ero in macchina e uno scemo davanti a me si fermava ad ogni stop e apriva lo sportello e metteva giù il piede dalla macchina. che imbecille, mi sono detta. sono andata al primo supermercato e ho chiesto un’informazione a uno con la faccia imbambolata. mica rispondeva, quello là. mi sa che stava pensando alla sua seicento nuova di zecca. allo scomparto delle acque minerali c’era un orso che faceva una promozione. era l’orso del “chisbius” che m’ha passato una bottiglia e m’ha detto di ripassare anche alla prossima puntata. ho bevuto l’acqua e visto che ero là, ho comprato anche un po’ di detersivi. da dietro una pila di saponi è spuntato andrea giordana. m’ha preso per mano (che bello che è dal vivo, m’ha fatto pure l’autografo!) e m’ha portato dentro una tovaglia per vedere da vicino e toccare con mano le macchie di sporco e di unto e poi ci siamo ritrovati in un prato verde. un cavallo mi s’e' avvicinato minaccioso e io ho avuto paura. ma una ragazzina, uguale a lui in tutto e per tutto (coda compresa) se l’e' portato via, a quel cavallo GOLOSO! da dietro una pianta è spuntata una signora in taièr nocciola che aveva appena avuto un attacco di diarrea. ha ripreso a giocare a pallone con dei ragazzini tutti allegri e felici, forse perché avevano appena mangiato dei biscotti ringo e due di loro, uno bianco e uno nero, si son scambiati pure il cinque. continuando sulla mia strada un uccellino mi s’e' posato sulla spalla e ha cominciato a blaterale qualcosa. che faccio rispondo, mi son detta tra me e me. non sara' per caso l’uccellino di legno dell’Unieuro quello che fa i suoi bisogni in faccia allo scrittore ottimista. ho cacciato l’uccellino. ingrato, ho pensato. non si fanno queste cose! in lontananza vedo il mare. mi faccio un bagno, penso. mi spoglio tutta ignuda e lascio i vestiti e la bottiglia dell’acqua sul bagnasciuga. un cane s’avvicina e si porta via tutto. oddio! e mo’? meno male che arriva la nonnina che mi s’era mangiata la pasta burro e parmigiano e mi porta dei vestiti di ricambio. e il cane? stava baciando un uomo con l’alito fresco dietro una staccionata. acchiappo il cane e chiamo Sirchia chè tanto ci pensa lui! “ehi”, mi dice uno “conosci sergio di rio?”. eccome no. è quello né alto né basso. né biondo né moro. né bello né brutto. che aveva in faccia tutti quei “pedicelli” rossi che ha combattuto con clerasil ultra e che non è mai stato dal dentista in vita sua? ZAC, un colpo di bacchetta magica e due ragazzini stanno cercando di trasformare una macchina in qualcosa d’altro; poi ancora un ZAC e c'è l'ultima trasformazione: compare davanti a me il camaleonte verde dei sofficini! prendo per mano il camaleonte e troviamo un palazzo di fronte a noi: “c’è giggi?” dice lui al citofono “no- rispondono da su- pero' c’è francesca che ha detto no al colesterolo!”. per sbaglio suoniamo anche ad un altro campanello. ci apre una signora in vestaglia tutta incavolata con il mattarello in mano, gli occhi fuori dalle orbite e i bigodini in testa. è la moglie del postino, dico tra me e me. si sta per scatenare contro di me quando arriva a salvarmi Lui: Bubi!
per fortuna suona la sveglia. son le otto e mezza. bisogna che la tivvù non la guardo più la sera, mi dico ad alta voce. L’altra volta con la peperonata era andata meglio!
stanotte ho avuto un incubo bestiale! ero là che mi cucinavo due spaghetti burro e parmigiano ed è spuntata dal nulla la nonnina della findus che m’ha scippato il piatto da sotto gli occhi. imbestialita, sono uscita a comprarmi qualcos’altro da mangiare. ero in macchina e uno scemo davanti a me si fermava ad ogni stop e apriva lo sportello e metteva giù il piede dalla macchina. che imbecille, mi sono detta. sono andata al primo supermercato e ho chiesto un’informazione a uno con la faccia imbambolata. mica rispondeva, quello là. mi sa che stava pensando alla sua seicento nuova di zecca. allo scomparto delle acque minerali c’era un orso che faceva una promozione. era l’orso del “chisbius” che m’ha passato una bottiglia e m’ha detto di ripassare anche alla prossima puntata. ho bevuto l’acqua e visto che ero là, ho comprato anche un po’ di detersivi. da dietro una pila di saponi è spuntato andrea giordana. m’ha preso per mano (che bello che è dal vivo, m’ha fatto pure l’autografo!) e m’ha portato dentro una tovaglia per vedere da vicino e toccare con mano le macchie di sporco e di unto e poi ci siamo ritrovati in un prato verde. un cavallo mi s’e' avvicinato minaccioso e io ho avuto paura. ma una ragazzina, uguale a lui in tutto e per tutto (coda compresa) se l’e' portato via, a quel cavallo GOLOSO! da dietro una pianta è spuntata una signora in taièr nocciola che aveva appena avuto un attacco di diarrea. ha ripreso a giocare a pallone con dei ragazzini tutti allegri e felici, forse perché avevano appena mangiato dei biscotti ringo e due di loro, uno bianco e uno nero, si son scambiati pure il cinque. continuando sulla mia strada un uccellino mi s’e' posato sulla spalla e ha cominciato a blaterale qualcosa. che faccio rispondo, mi son detta tra me e me. non sara' per caso l’uccellino di legno dell’Unieuro quello che fa i suoi bisogni in faccia allo scrittore ottimista. ho cacciato l’uccellino. ingrato, ho pensato. non si fanno queste cose! in lontananza vedo il mare. mi faccio un bagno, penso. mi spoglio tutta ignuda e lascio i vestiti e la bottiglia dell’acqua sul bagnasciuga. un cane s’avvicina e si porta via tutto. oddio! e mo’? meno male che arriva la nonnina che mi s’era mangiata la pasta burro e parmigiano e mi porta dei vestiti di ricambio. e il cane? stava baciando un uomo con l’alito fresco dietro una staccionata. acchiappo il cane e chiamo Sirchia chè tanto ci pensa lui! “ehi”, mi dice uno “conosci sergio di rio?”. eccome no. è quello né alto né basso. né biondo né moro. né bello né brutto. che aveva in faccia tutti quei “pedicelli” rossi che ha combattuto con clerasil ultra e che non è mai stato dal dentista in vita sua? ZAC, un colpo di bacchetta magica e due ragazzini stanno cercando di trasformare una macchina in qualcosa d’altro; poi ancora un ZAC e c'è l'ultima trasformazione: compare davanti a me il camaleonte verde dei sofficini! prendo per mano il camaleonte e troviamo un palazzo di fronte a noi: “c’è giggi?” dice lui al citofono “no- rispondono da su- pero' c’è francesca che ha detto no al colesterolo!”. per sbaglio suoniamo anche ad un altro campanello. ci apre una signora in vestaglia tutta incavolata con il mattarello in mano, gli occhi fuori dalle orbite e i bigodini in testa. è la moglie del postino, dico tra me e me. si sta per scatenare contro di me quando arriva a salvarmi Lui: Bubi!
per fortuna suona la sveglia. son le otto e mezza. bisogna che la tivvù non la guardo più la sera, mi dico ad alta voce. L’altra volta con la peperonata era andata meglio!
Sunday, September 14, 2003
Thursday, September 11, 2003
e pensare che solo una settimana fa ero nel deserto. sembrava uno di quei viaggetti cosi' e cosi': aeroporto, welcome, pullman, albergo, villaggio, animazione, due palle. certo è che la stanchezza di un anno di lavoro era tanta e andava bene anche una vacanza cosi' e cosi', chiusi dentro a un villaggio a vedere tedeschi ubriachi gia' la mattina e felici al suono di chiuaua e la bomba e di asereje'. poi la riunione con Lui, il ragazzo del Tour Operator che ci aveva portato li'. prospettive?
un viaggio di due giorni nel sahara
un giorno a tunisi e silibusaid o come si chiama
un giorno a cartagine
propendo per la prima: il sahara. vabbe', mi dico, non sara' il sahara di Paradise quello piu' sperduto con i predoni (tutti belli, ovviamente) che ti rincorrono a cavallo e tu che ti rifugi in groppa al tuo cammello nella prima oasi a destra, naturalmente stupenda con acqua dall’azzurro al bluette, scimmie amiche e palme che ti riforniscono di ogni ben di dio. pero', sempre tra me e me, è pur sempre il sahara. preparazione al viaggio? carico la batteria della telecamera, la macchinetta digitale, lascio le ultime memorie scritte e i vari testamenti (non si sa mai, è pur sempre il deserto!), mi vesto in tenuta “africana”: risultato un simil-modello alberto sordi in “Riusciranno i nostri eroi…”. appuntamento nella hall dell’albergo alle sei di mattina (sarà un lungo viaggio, penso).
saliamo sul pulmann. io. la mia amica e altri italiani tutti vestiti come me, cioè come alberto sordi nel film. tutti già muniti di telecamerina, macchinina digitale, orologio con bussola, lanciarazzi che non si sa mai, giubbotto salvagente, madonnina che piange lacrime appesa al collo, foto della mamma nel portafogli e foto ricordo di roberto baggio con su scritto “a pupa con simpatia”.
comincia l’avventura. cominciamo a riprendere tutto. io scatto foto alla mia amica. lei riprende me mentre le scatto le foto. altri ragazzi riprendono noi nel pulman che a nostra volta scattiamo foto ricordo a loro. naturalmente dopo un quarto d’ora già tutti amici (l’italiano non si perde mai d’animo!) e già tre rullini e due ore di girato del pulman e del cortile del villaggio.
sul pulman intoniamo i soliti canti da gita: oh, bella ciao; l’italiano di toto cutugno che all’estero fa tanto casa; vecchio scarpone; la fiera dell’est che a cantarla tutta tre quarti del viaggio passa in fretta. qualcuno azzarda anche “che ce frega der cileno noi ciavemo totti gol”, ma smette quasi subito.
prima tappa: el jem. che è, direte voi? me lo sono detta pure io. è il colosseo, ho scoperto dopo. dicono che sia quello dove hanno girato Il gladiatore. l’entrata è gratis (è compresa nella quota dell’escursione), le foto e i filmini all’interno no: 1 dinaro. paghiamo ‘sto dinaro (poi abbiamo scoperto che qualsiasi cosa tu voglia fare c’è sempre la spada di damocle de’ ‘sto dinaro: foto con la scimmietta, foto con il baby cammello, foto con le volpi del deserto, foto che vai al bagno, foto a letto col cammelliere, foto che poggi per caso una mano su una pietra per reggerti, insomma paghi tutto!) e ci sentiamo in diritto di fotografare tutto, ma proprio tutto: un ragazzo di pisa ha ripreso addirittura un ciuffo di capelli di non so chi che svolazzava nell’aria e un filo d’erba che spuntava da una roccia!
lasciamo el jem e riprendiamo il nostro viaggio. sempre più carichi di foto. sempre più entusiasti. guardiamo il panorama con occhi sgranati e filmiamo tutto: le distese immense di olivi, gli sgozzamenti degli agnelli a bordo strada che è usanza cucinare li' per li' sui barbecue, gente che passa, macchine, targhe delle macchine neanche facessimo i vigili!
facciamo un pranzo veloce. non so dove, sinceramente. e continuiamo il viaggio verso matmata e le case troglodite. prima di scendere dal pulman, ci hanno consigliato di bagnarci la testa e di metterci i cappelli per via del sole che picchia molto in quei posti. oh, non ce lo scordiamo: eravamo nel deserto! non hanno contato che veniavamo da un’estataccia a roma e che che i cinquanta gradi loro erano acqua fresca per noi. entriamo nella case troglodite (case scavate nella roccia, alcune ancora abitate e dotate anche di parabola!). entriamo molto rispettosi. abbiamo paura quasi di fotografare. poi s’è scoperto che hanno messo là delle comparse a far finta di macinare un qualcosa su un rudimentale arnese circolare e a farci vedere la loro casa finto abitata. all’uscita, costo della visita: 1 dinaro. e te pareva!
vabbè. siamo entusiasti anche di questa hollywood troglodita. e continuiamo a macinare (noi veramente!) chilometri. quasi in tardo pomeriggio arriviamo a douz. la porta del sahara. wow. gulp. sono emozionata come il giorno che ho fatto poker alle macchinette nel bar qui di fronte. scendo dal pulman con le mani sudaticce e il cuore all’impazzata. cavolo. metto i piedi sul deserto. ci son già pronti i cammelli per la cammellata. sembrano macchine allo starter con i cammellieri altrettanto pronti per noi. salgo sul cammello sperando che non si “afflosci”. mi son pure dimagrita ‘st’estate, mi dico. speriamo che regga. il cammello regge. partiamo per il nostro viaggio. tutti in gruppo. chi più lento, chi meno. avanziamo sembrando beduini. tutti con le magliette legate intorno alla testa. il vento che la sabbia te la ritrovi pure nei buchi più infimi. le telecamere che rivisti poi i filmini sembrano tutte col morbo di parkinson. le bottigline per prendere la sabbia da portare a casa come ricordo. i cammelli che fanno certi versi tutti loro. e per fortuna. la paura degli scorpioni e dei cobra reali, quelli che si vedono solo in tv! avanziamo lentamente. i cammellieri a piedi. che ingiustizia. io faccio amicizia col mio. Arbi'. due occhi buoni. semplice nell’avanzare lentamente quasi come procede la sua vita. mi ha chiesto il telefono, Arbi', ho tergiversato. è il tramonto. il cielo ha un po’ di foschia. non siamo stati fortunati nel vedere quei tramonti classici col sole rosso fuoco all’orizzonte. da lontano si sentono i canti e le preghiere dei musulmani. c’è quiete intorno. il vento caldo che sembra di essere dentro un grande phon. la sabbia fine fine quasi come polvere. le palme cariche di datteri. niente avanti. niente dietro. niente a destra. niente a sinistra. solo sabbia. dune in movimento. palme. noi. i cammellieri. i flash che immortalano momenti da ricordare. sabbia come souvenir che io tengo a casa come c’è chi tiene l’acqua delle madonnine di lourdes. si fa quasi notte. torniamo alla base. ricchi ognuno della propria esperienza. saluto il cammello, che s’è comportato bene. e penso di regalare qualche dinaro ad Arbi'. ma poi penso di offenderlo. arriviamo in albergo. tutti muti. persino le telecamere e le macchinette fotografiche a riposo. portiamo dentro quel silenzio del deserto. ci portiamo dentro qualcosa fuori del comune.
e pensare che solo una settimana fa ero nel deserto. oggi son qui. col frastuono intorno. ma di molto rasserenata e di molto arricchita. una parte di me reclama quella quiete. quei paesaggi. quella vita semplice. l’altra parte continua la sua vita sfrenata, navigando in altri tipi di viaggio. non ho visto gli scorpioni se non in bottigline imbalsamati; non ho visto neanche un cobra allo stato brado: l’unico era vivo e scorrazzava con l’animatore per far felici i tedeschi di cui sopra. forse non ho visto neanche il vero sahara. o la vita veramente vera. ma quella che porto dentro è la mia esperienza fatta di entusiasmo e di racconti. e cerco di trasmetterla. il tutto gratis. senza pagare neanche un dinaro!
un viaggio di due giorni nel sahara
un giorno a tunisi e silibusaid o come si chiama
un giorno a cartagine
propendo per la prima: il sahara. vabbe', mi dico, non sara' il sahara di Paradise quello piu' sperduto con i predoni (tutti belli, ovviamente) che ti rincorrono a cavallo e tu che ti rifugi in groppa al tuo cammello nella prima oasi a destra, naturalmente stupenda con acqua dall’azzurro al bluette, scimmie amiche e palme che ti riforniscono di ogni ben di dio. pero', sempre tra me e me, è pur sempre il sahara. preparazione al viaggio? carico la batteria della telecamera, la macchinetta digitale, lascio le ultime memorie scritte e i vari testamenti (non si sa mai, è pur sempre il deserto!), mi vesto in tenuta “africana”: risultato un simil-modello alberto sordi in “Riusciranno i nostri eroi…”. appuntamento nella hall dell’albergo alle sei di mattina (sarà un lungo viaggio, penso).
saliamo sul pulmann. io. la mia amica e altri italiani tutti vestiti come me, cioè come alberto sordi nel film. tutti già muniti di telecamerina, macchinina digitale, orologio con bussola, lanciarazzi che non si sa mai, giubbotto salvagente, madonnina che piange lacrime appesa al collo, foto della mamma nel portafogli e foto ricordo di roberto baggio con su scritto “a pupa con simpatia”.
comincia l’avventura. cominciamo a riprendere tutto. io scatto foto alla mia amica. lei riprende me mentre le scatto le foto. altri ragazzi riprendono noi nel pulman che a nostra volta scattiamo foto ricordo a loro. naturalmente dopo un quarto d’ora già tutti amici (l’italiano non si perde mai d’animo!) e già tre rullini e due ore di girato del pulman e del cortile del villaggio.
sul pulman intoniamo i soliti canti da gita: oh, bella ciao; l’italiano di toto cutugno che all’estero fa tanto casa; vecchio scarpone; la fiera dell’est che a cantarla tutta tre quarti del viaggio passa in fretta. qualcuno azzarda anche “che ce frega der cileno noi ciavemo totti gol”, ma smette quasi subito.
prima tappa: el jem. che è, direte voi? me lo sono detta pure io. è il colosseo, ho scoperto dopo. dicono che sia quello dove hanno girato Il gladiatore. l’entrata è gratis (è compresa nella quota dell’escursione), le foto e i filmini all’interno no: 1 dinaro. paghiamo ‘sto dinaro (poi abbiamo scoperto che qualsiasi cosa tu voglia fare c’è sempre la spada di damocle de’ ‘sto dinaro: foto con la scimmietta, foto con il baby cammello, foto con le volpi del deserto, foto che vai al bagno, foto a letto col cammelliere, foto che poggi per caso una mano su una pietra per reggerti, insomma paghi tutto!) e ci sentiamo in diritto di fotografare tutto, ma proprio tutto: un ragazzo di pisa ha ripreso addirittura un ciuffo di capelli di non so chi che svolazzava nell’aria e un filo d’erba che spuntava da una roccia!
lasciamo el jem e riprendiamo il nostro viaggio. sempre più carichi di foto. sempre più entusiasti. guardiamo il panorama con occhi sgranati e filmiamo tutto: le distese immense di olivi, gli sgozzamenti degli agnelli a bordo strada che è usanza cucinare li' per li' sui barbecue, gente che passa, macchine, targhe delle macchine neanche facessimo i vigili!
facciamo un pranzo veloce. non so dove, sinceramente. e continuiamo il viaggio verso matmata e le case troglodite. prima di scendere dal pulman, ci hanno consigliato di bagnarci la testa e di metterci i cappelli per via del sole che picchia molto in quei posti. oh, non ce lo scordiamo: eravamo nel deserto! non hanno contato che veniavamo da un’estataccia a roma e che che i cinquanta gradi loro erano acqua fresca per noi. entriamo nella case troglodite (case scavate nella roccia, alcune ancora abitate e dotate anche di parabola!). entriamo molto rispettosi. abbiamo paura quasi di fotografare. poi s’è scoperto che hanno messo là delle comparse a far finta di macinare un qualcosa su un rudimentale arnese circolare e a farci vedere la loro casa finto abitata. all’uscita, costo della visita: 1 dinaro. e te pareva!
vabbè. siamo entusiasti anche di questa hollywood troglodita. e continuiamo a macinare (noi veramente!) chilometri. quasi in tardo pomeriggio arriviamo a douz. la porta del sahara. wow. gulp. sono emozionata come il giorno che ho fatto poker alle macchinette nel bar qui di fronte. scendo dal pulman con le mani sudaticce e il cuore all’impazzata. cavolo. metto i piedi sul deserto. ci son già pronti i cammelli per la cammellata. sembrano macchine allo starter con i cammellieri altrettanto pronti per noi. salgo sul cammello sperando che non si “afflosci”. mi son pure dimagrita ‘st’estate, mi dico. speriamo che regga. il cammello regge. partiamo per il nostro viaggio. tutti in gruppo. chi più lento, chi meno. avanziamo sembrando beduini. tutti con le magliette legate intorno alla testa. il vento che la sabbia te la ritrovi pure nei buchi più infimi. le telecamere che rivisti poi i filmini sembrano tutte col morbo di parkinson. le bottigline per prendere la sabbia da portare a casa come ricordo. i cammelli che fanno certi versi tutti loro. e per fortuna. la paura degli scorpioni e dei cobra reali, quelli che si vedono solo in tv! avanziamo lentamente. i cammellieri a piedi. che ingiustizia. io faccio amicizia col mio. Arbi'. due occhi buoni. semplice nell’avanzare lentamente quasi come procede la sua vita. mi ha chiesto il telefono, Arbi', ho tergiversato. è il tramonto. il cielo ha un po’ di foschia. non siamo stati fortunati nel vedere quei tramonti classici col sole rosso fuoco all’orizzonte. da lontano si sentono i canti e le preghiere dei musulmani. c’è quiete intorno. il vento caldo che sembra di essere dentro un grande phon. la sabbia fine fine quasi come polvere. le palme cariche di datteri. niente avanti. niente dietro. niente a destra. niente a sinistra. solo sabbia. dune in movimento. palme. noi. i cammellieri. i flash che immortalano momenti da ricordare. sabbia come souvenir che io tengo a casa come c’è chi tiene l’acqua delle madonnine di lourdes. si fa quasi notte. torniamo alla base. ricchi ognuno della propria esperienza. saluto il cammello, che s’è comportato bene. e penso di regalare qualche dinaro ad Arbi'. ma poi penso di offenderlo. arriviamo in albergo. tutti muti. persino le telecamere e le macchinette fotografiche a riposo. portiamo dentro quel silenzio del deserto. ci portiamo dentro qualcosa fuori del comune.
e pensare che solo una settimana fa ero nel deserto. oggi son qui. col frastuono intorno. ma di molto rasserenata e di molto arricchita. una parte di me reclama quella quiete. quei paesaggi. quella vita semplice. l’altra parte continua la sua vita sfrenata, navigando in altri tipi di viaggio. non ho visto gli scorpioni se non in bottigline imbalsamati; non ho visto neanche un cobra allo stato brado: l’unico era vivo e scorrazzava con l’animatore per far felici i tedeschi di cui sopra. forse non ho visto neanche il vero sahara. o la vita veramente vera. ma quella che porto dentro è la mia esperienza fatta di entusiasmo e di racconti. e cerco di trasmetterla. il tutto gratis. senza pagare neanche un dinaro!
Tuesday, September 09, 2003
CIAO LUCIO!
Puo' darsi ch'io non sappia cosa dico,
scegliendo te - una donna - per amico,
ma il mio mestiere è vivere la vita
che sia di tutti i giorni o sconosciuta;
ti amo, forte, debole compagna
che qualche volta impara e a volte insegna.
L'eccitazione è il sintomo d'amore
al quale non sappiamo rinunciare.
Le conseguenze spesso fan soffrire,
a turno ci dobbiamo consolare
e tu amica cara mi consoli
perché ci ritroviamo sempre soli.
Ti sei innamorata di chi?
Troppo docile, non fa per te.
Lo so divento antipatico
ma è sempre meglio che ipocrita.
D'accordo, fa come vuoi I miei consigli mai.
Mi arrendo fa come vuoi
ci ritroviamo come al solito poi
Ma che disastro, io mi maledico
ho scelto te - una donna - per amico,
ma il mio mestiere è vivere la vita
che sia di tutti i giorni o sconosciuta;
ti odio forte, debole compagna
che poche volte impara e troppo insegna.
Non c'è una gomma ancor che non si buchi.
Il mastice sei tu, mia vecchia amica.
La pezza sono io, ma che vergogna.
Che importa, tocca a te, avanti, sogna.
Ti amo, forte, debole compagna
che qualche volta impara e a volte insegna.
Mi sono innamorato? Si', un po'.
Rincoglionito? Non dico no.
Per te son tutte un po' squallide.
La gelosia non è lecita.
Quello che voglio lo sai, non mi fermerai
Che menagramo che sei,
eventualmente puoi sempre ridere poi
Ma che disastro, io mi maledico
ho scelto te - una donna - per amico,
ma il mio mestiere è vivere la vita
che sia di tutti i giorni o sconosciuta;
ti amo forte, debole compagna
che qualche volta impara e qualche insegna.
Puo' darsi ch'io non sappia cosa dico,
scegliendo te - una donna - per amico,
ma il mio mestiere è vivere la vita
che sia di tutti i giorni o sconosciuta;
ti amo, forte, debole compagna
che qualche volta impara e a volte insegna.
L'eccitazione è il sintomo d'amore
al quale non sappiamo rinunciare.
Le conseguenze spesso fan soffrire,
a turno ci dobbiamo consolare
e tu amica cara mi consoli
perché ci ritroviamo sempre soli.
Ti sei innamorata di chi?
Troppo docile, non fa per te.
Lo so divento antipatico
ma è sempre meglio che ipocrita.
D'accordo, fa come vuoi I miei consigli mai.
Mi arrendo fa come vuoi
ci ritroviamo come al solito poi
Ma che disastro, io mi maledico
ho scelto te - una donna - per amico,
ma il mio mestiere è vivere la vita
che sia di tutti i giorni o sconosciuta;
ti odio forte, debole compagna
che poche volte impara e troppo insegna.
Non c'è una gomma ancor che non si buchi.
Il mastice sei tu, mia vecchia amica.
La pezza sono io, ma che vergogna.
Che importa, tocca a te, avanti, sogna.
Ti amo, forte, debole compagna
che qualche volta impara e a volte insegna.
Mi sono innamorato? Si', un po'.
Rincoglionito? Non dico no.
Per te son tutte un po' squallide.
La gelosia non è lecita.
Quello che voglio lo sai, non mi fermerai
Che menagramo che sei,
eventualmente puoi sempre ridere poi
Ma che disastro, io mi maledico
ho scelto te - una donna - per amico,
ma il mio mestiere è vivere la vita
che sia di tutti i giorni o sconosciuta;
ti amo forte, debole compagna
che qualche volta impara e qualche insegna.
Saturday, September 06, 2003
ho attraversato in macchina il quarto miglio poco fa. c'è la mia infanzia là. che seppur negata, come la chiama mamma, è sempre la mia infanzia. mi son rivista tra quelle stradine che reputavo enormi e che oggi rivedo piccole piccole come quando rivedi le persone anziane che ti sembrano rinsecchite e rimpicciolite. mi sono rivista piccolina, all'asilo che davo calci e pugni a destra e manca. o la domenica pomeriggio che attraversavo mezzo quartiere per comprare le beneamate "pastarelle" domenicali, tutte rigorosamente al cioccolato fatta eccezione per due cannoli alla crema che non voleva mai nessuno. mi sono rivista sola soletta verso scuola o verso il parco con la sacca dei pattini a rotelle bianchi. ho rivisto quelle belle tavolate alla pizzeria all'angolo con mara e cristiana e lamberto e annamaria. mi son rivista con la bottiglia vuota verso il vinaio e poi con la bottiglia piena verso casa che un po' di cresta ci usciva sempre e un bel "fiordifragola" pure. e poi all'oratorio quando ancora credevo che dio ci guardasse dall'alto dei cieli e che non fosse invece la bufala che è. e a scuola con la maestra rosa che era anche più bassa di me. e sul tetto della mansarda con il cane appresso. insomma un bell'amarcord di ricordi. tutti belli. tutti. e allora ho pensato a tutte le persone che hanno ripercorso quelle stradine dopo di me. che hanno varcato la soglia di quella pasticceria. o che si son sedute al mio banco a scuola. o che hanno pattinato al parco. o giocato sulla mia altalena preferita. e mi son detta che siamo solo di passaggio. ognuno con la sua storia. con il suo racconto di vita. con i suoi drammi. o con le sue gioie. e che queste strade alla fin fine s'intersecano tutte senza mai incrociarsi. strano a dirsi. forse.
Wednesday, September 03, 2003
INFORMAZIONE DI SERVIZIO
1 EURO AL FRIULI
- Tutti gli abbonati della Tim possono inviare un sms al numero 4466.
- Tutti gli utenti Vodafone Omnitel possono spedire un messaggio al numero 42942.
- Chi utilizza i cellulari Wind potrà scrivere invece al numero 434343.
PER UN GRANDE POPOLO!
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PER UN GRANDE POPOLO!
Tuesday, September 02, 2003
ci sono cose che non si comprendono. sembrano chiare. palesi. semplici da capire. ci si sforza di trovare un perche' o una semplice spiegazione. ma piu' ci si sofferma a pensare e piu' non si trova ne' l'uno ne' l'altra. e cosi' spesso ci sentiamo sospesi, in un limbo ovattato. senza rumori. senza odori. con il niente intorno. ma il tutto dentro.
ci sono cose molto semplici che io non comprendo. e cosi' lascio che siano. senza cambiare gli eventi. senza essere cambiata dagli eventi. e rimango sospesa nel mio limbo ovattato. senza piu' comprendere. senza piu' analizzare. senza sorridere. o piangere. con il niente intorno. ma con il tutto dentro. incrocio sguardi. e scambio parole. stringo mani. o abbraccio la vita. non sento altre voci. se non il richiamo di cio' che sembra familiare ai miei occhi. vedo tante strade intorno e lontano. tutte parallele ma nessuna vicino. piccoli bivi. o grandi incroci. e io sto ferma là. su quel masso seduta. attendo il sereno. e forse nessuno.
ci sono cose molto semplici che io non comprendo. e cosi' lascio che siano. senza cambiare gli eventi. senza essere cambiata dagli eventi. e rimango sospesa nel mio limbo ovattato. senza piu' comprendere. senza piu' analizzare. senza sorridere. o piangere. con il niente intorno. ma con il tutto dentro. incrocio sguardi. e scambio parole. stringo mani. o abbraccio la vita. non sento altre voci. se non il richiamo di cio' che sembra familiare ai miei occhi. vedo tante strade intorno e lontano. tutte parallele ma nessuna vicino. piccoli bivi. o grandi incroci. e io sto ferma là. su quel masso seduta. attendo il sereno. e forse nessuno.
Monday, September 01, 2003
1.20 fco. 1.50 monastir. hip hip. sonno. bagagli. frontiera. mattonelle bianche. baffi neri. paura. wellcome. benvenue. pulmann. albergo. aria condizionata. gelo. mal di gola. placche. mattina. viale. sole. caldo. mare. acqua pulita. palmette. sabbia fine. tedeschi. francesi. pranzo. sob. cocomero. melone. mercato dei cammelli. bar. taxi. musulmani. spezie. cannella. curry. paprika. poverta'. tuniche. burka. prepotenza. strafottenza. cambio. dinari. foto. 1 dinaro. medusa. tomato. animazione. imbecillita'. chiuaua. un movimento sexual. tedeschi. felici. bah. riunione. escursioni. sahara. deserto. due giorni. 26 agosto. segreteria telefonica. 1 dinaro e mezzo. pensieri. parole. boh. ore cinque. partenza. aspettative. el jem. il gladiatore. roma. colosseo. wow. olivi. distese immense. case troglodite. deserto. oasi. matmata. the' verde. pane. olio. dissenteria. foto. film. amici. sabrina. francesco. tor vergata. casa. lontano. sperduti. silenzio. caldo afoso. pulmann. chilometri. douz. porta del sahara. cammelli. gita. dune. shhh. Arbi'. Mohamed. cammellieri. bianco. pulito. cinquanta gradi. quiete. tramonto. vento caldo. orme. granelli fini. bottiglia di sabbia. ricordo. telecamere. fotografie. pietre. datteri veri. infinito. finito. albergo. lusso. piscina. calda. doccia. acqua salata. buonanotte. ronf. ore sei. partenza. sonno. lago salato. miraggi. sale. sole coperto. rose del deserto. oasi. algeria sei chilometri. deserto roccioso. camminata. arf. jeep. cascata. volpi del deserto. fennech. ruscello. datteri acerbi. fuoristrada. dromedari. rettili. scorpioni. una foto 1 dinaro. cadeaux. italiani. laura pausini. totti. moschea. sguardi torvi. preghiera. nord. lamenti. ritorno. albergo. porto el cantaui. porto cervo. uhm. coca cola. acqua tonica. sousse. medina. vicoli. paura. porte azzurre. bianco candido. macellerie. bleah. mosche. insetti. narghilè. trattavive. 20 dinari. posacenere. porta sigarette. caldo asfissiante. acqua amara. taxi. piscina. splash. mare. materrassini. bingo bango. gelato. valigie. count down. passa parola. ciao. a presto. aeroporto. 1 ora e dieci. panino. fame da lupi. slurp. roma. sonno. lavoro. stop.
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