Friday, April 09, 2004

tu quanto le paghi le parole al chilo?

certi giorni m’accorgo che se ci fosse il mercato delle parole ne comprerei a bizzeffe: colorate, belle, brutte, grasse e pompose o piccole e striminzite. ne farei forme colorate, imbastirei discorsi infiniti e costruirei frasi ricche di periodi come fanno i bambini quando giocano con le costruzioni lego. le coccolerei. le metterei lì sopra quella mensola bianca vicino al metronomo che scandisce il tempo che passa. le luciderei con cura come si fa con gli argenti di famiglia. “scusi, ehi dico a lei: vorrei due etti di sinonimi tagliati fini e una chilata di contrari. sa, stasera ho ospiti a cena e non vorrei proprio sfigurare!”. quello che mi intriga delle parole è che mutano il loro significato a seconda di come vengono percepite. è come se avessero una loro vita intrinseca: ti arrivano all’anima senza passare dalla mente. io a volte con le parole ci gioco: ne faccio forme nuove con nuovi significati. e allora mi dico che il loro significato conta fino ad un certo punto. non è matematico che se io dico: “no, non voglio” sia realmente come se dicessi “no, non voglio”. c’è l’interpretazione che ha una vita tutta sua. e così se t’affacci bene fuori al balcone vedi che loro se ne volano felici nell’aria creando di volta in volta nuovi giochi colorati e vortici di luci a intermittenza come le insegne dei negozi del centro. si sta perdendo il senso della parola e il più delle volte nei discorsi si va a senso. quanto pesa una parola. non lo so. un mio amico le vende in stock: ogni tre paia di calzini lunghi c’è una parola in omaggio. così vedi questa gente che esce dal suo negozio con la busta dei calzini in una mano e la sua parola nuova di zecca nell’altra. a volte la lasciano al primo cassonetto. quello più vicino casa. altre volte la chiudono in quelle librerie con libri fatti in serie dalle copertine tutte imbellettate e soprattutto dai fogli intonsi e ancora profumati. fior di parole stanno invecchiando. e io le venderei a peso d’oro. ma, credo, troverei pochi acquirenti se non quella vecchia professoressa di italiano che ne studiava l’etimologia e ne scandiva la sillabazione. molte volte vorrei trattare l’acquisto della parola “solidarietà” e restituirle il suo significato originario. vorrei comprare la parola “festività” e non trovarla perennemente sotto braccio alla parola “consumismo”. vorrei discutere con te, si dico a te, della parola “giustizia” e non sentirmi presa in giro. vorrei togliere la parola “comunismo” dalla bocca di quel signore là, si proprio quello che è sceso adesso dalla sua cayenne nera fiammante. vorrei regalarti la parola “amore” perché tu ne faccia ciò che vuoi. e piantare nella terra fresca e soffice la parola “ascoltare” perché faccia crescere in giro orecchie e non più bocche. vorrei restituire “dignità” alla parola dignità. e togliere la parola “tolleranza” da quella bella signora ingioiellata che porta a spasso al guinzaglio la sua domestica. e nascondere la parola “pace” dalla vista di quel gruppo di giovani che stanno creando casini alla manifestazione. vorrei regalare la parola “onestà” a quel signore che ti sta stringendo la mano proprio ora. certi giorni m’accorgo che se ci fosse il mercato delle parole ne comprerei a bizzeffe. gli darei il posto che gli spetta. il significato che hanno. la giustizia che meritano. a proposito: tu quanto le paghi le parole al chilo?

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